Dalle finestre di palazzo Chigi lasciate aperte perché l’ottobrata romana è mite e l’aria fresca stordisce il virus, salgono per tutto il giorno i cori delle proteste. Dalla mattina a sera, arrivano dalla piazza, dalle tv, dal web: baristi, ristoratori, i catering di congressi e fiere. L’aria nel paese è brutta, corre anche il virus della ribellione: manifestazioni in diciassette città. Sono persone che vogliono lavorare e hanno investito nei mesi scorsi per adeguare locali e personale a fare quello che il governo aveva previsto: convivere col virus. Invece no, tutti chiusi. Senza capire perché visto che non è stato fornito un numero, mezzo, in base al quale il cinema, il teatro o la piscina sono diventati improvvisamente pericolosi.

Giuseppe Conte è dentro il palazzo a far quadrare i conti, e le modalità di erogazione, degli indennizzi promessi «direttamente sul conto corrente a circa 300-350 mila aziende costrette a chiudere del tutto o alle 18». Sarà un decreto, si chiamerà Novembre e metterà sul tavolo 4-5 miliardi. «I ristori saranno il doppio di quelli precedenti, cioè il doppio del calo del fatturato», è la promessa. Il timore sui social è che il 2 novembre, lunedì prossimo ci sia un altro Dpcm. Sarebbe il quarto in venti giorni. C’è qualcosa che non va. Il “bunker” di Conte è fatto di preoccupazione, stanchezza, parole, proteste, numeri, quelli del contagio che continua a correre. E quelli delle perdite economiche. C’è una legge di Bilancio, e una Nadef, appena approvate e probabilmente tutte da rifare. È il bunker di chi sa che le cose non sono andate come dovevano. Perché il virus è una bestia imprevedibile. Perché non è stato fatto ciò che era stato promesso, dalle terapie intensive al tracciamento, dai posti letto alla medicina di base, dai tamponi ai vaccini per l’influenza.

È lo stesso bunker che sente addosso anche Nicola Zingaretti. Il segretario dem non può fare altro, al netto delle divisioni interne nei gruppi parlamentari da tempo preoccupati per un’azione di governo che non convince, che serrare le fila intorno a Conte. Non è certo questo il momento di chiedere la testa di qualcuno o di lavorare a rimpasti. È il momento, invece, di “mettere i sacchetti di sabbia intorno a Conte”. L’adagio latino – “simul stabunt, simul cadent” – calza a pennello: “insieme staranno, insieme cadranno”, aggiungiamo insieme vinceranno Zingaretti, Conte e anche Franceschini e i progetti mai smentiti di poter dare le carte per il Quirinale nel febbraio 2022. Non è il momento di pensare a questo. E certo, ha detto ieri Zingaretti chiudendo la direzione del Pd iniziata venerdì scorso, «non è eticamente questo il momento di stare con i piedi in due staffe».

Zingaretti ce l’ha con Matteo Renzi che pochi minuti prima (alle 15 e 16) ha pubblicato la sua enews settimanale in cui annuncia che Italia viva chiederà modifiche al Dpcm perché sono state decise chiusure di bar, ristoranti, piscine ma soprattutto il mondo della cultura, cinema e teatri. «Sarebbe molto utile – scrive Renzi – che il Governo ci spiegasse quali sono i dati scientifici e le analisi sui quali si prendono le decisioni: i dati scientifici, non le emozioni di un singolo ministro. Mi ha colpito che proprio il ministro della Cultura abbia giustificato la chiusura dicendo che dobbiamo salvare vite umane. Io dico che basta essere andati al cinema o al teatro, in queste settimane, per capire che non sono posti dove si rischia di morire». Italia viva, la capodelegazione Teresa Bellanova, ha lottato insieme ai governatori e al presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini in questi giorni al tavolo del governo per evitare questo nuovo lockdown al tempo libero (quasi che il tempo libero fosse un lusso e basta) e per insistere, invece, a mettere mano al trasporto locale e alla sanità di base. «Prendiamo il Mes subito, quei soldi ci servono adesso» è tornato a chiedere Renzi.

Anche Conte ha avuto perplessità. Anche il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora (M5s) ha fatto di tutto per evitare la chiusura di piscine, palestre, impianti di sci, tre quarti dello sport è fermo di nuovo. Spadafora era ospite da Fabio Fazio domenica sera e lì ha fatto trasparire tutta la sua avversione alle scelte fatte. Il viceministro alla Sanità Pierpaolo Sileri, anche lui 5Stelle, ha avanzato dubbi. Persino Patuanelli ha subìto le misure. In pratica hanno deciso Conte e i ministri Speranza (Leu) e Franceschini (capodelegazione Pd), gli unici ad avere “la percezione esatta di quello che sta accadendo”. Ecco che Zingaretti attacca Renzi, ma poi è costretto ad attaccare un po’ tutti nella maggioranza, anche chi nei gruppi parlamentari mormora e bisbiglia. “Faccio un invito alle forze di maggioranza: basta con questo diluvio di distinguo, di se e di ma” ha detto chiudendo la Direzione. Non è questo il momento del fuoco amico.

E’ invece il tempo della condivisione, chiamando al tavolo anche le forze sociali e le opposizioni. La posta in gioco, d’altra parte, è fin troppo alta perchè sia solo la maggioranza – o parte di essa – ad assumersi l’onore e l’onere delle scelte da prendere. Il segretario dem chiede “un nuovo clima per salvare il bene comune” e a Conte di «verificare in fretta se si può trovare un punto di convergenza più alto per salvare la situazione». Con tutti. Anche con le opposizioni in un patto, però, in cui nessuno si deve sentire sconfitto e non ci devono essere speculazioni. Non è mai troppo tardi per un’ultima chiamata. Anche questo è un pezzo del bunker del premier Conte.

Avatar photo

Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.