Chi giovedì lo ha visto piegato sulle ginocchia e intento ad allineare, con impegno e la meticolosa precisione di chi vuole fare bene, le mele raccolte nel campo dell’azienda agricola di Chiaiano dove la Regione Campania ha finanziato un corso di formazione per ragazzi provenienti da comunità di recupero, stenta a credere che Luigi sia lo stesso ragazzo finito cadavere sull’asfalto di via Duomo, ucciso nella notte tra sabato e domenica da un proiettile esploso da un poliziotto intervenuto per sventare una rapina. Chi ha visto Luigi negli ultimi mesi frequentare con costanza le lezioni settimanali da giardiniere, dopo quelle da pizzaiolo, e darsi da fare per imparare ad usare gli attrezzi e tenere pulite le aiuole di una piazza di Bagnoli, fatica a pensare che fosse in giro per le vie della città, di notte, su un motorino rubato e con una pistola anche se giocattolo. La realtà fa accavallare i ricordi e lascia emergere le contraddizioni. Quelle che hanno segnato la vita di Luigi, continuano a segnare le vite di altri ragazzi napoletani e sono la maledizione di questa città dove i contorni non sono mai netti, dove le periferie non le trovi solo ai margini ma anche in centro, dove i confini sono sfocati e le omissioni sono sempre troppe. E hai voglia a dire che è colpa delle istituzioni, del ragazzo ucciso, del poliziotto che ha sparato, delle famiglie, della società.

La storia di Luigi, come quelle di Ugo Russo, Davide Bifulco, Mario Castellano e tanti altri giovani finiti all’obitorio per un tentativo di rapina o per evitare un posto di blocco, ricordano che a Napoli non è sempre facile stabilire dove sta il bene e dove il male, che può essere invece molto facile passare dalla ragione al torto e dal torto alla ragione, che la verità non sta sempre nel mezzo e le cose non sono mai tutte bianche o tutte nere. «Era un ragazzo con una maschera di ferro fuori ma fragile come un cristallo», scrive su Facebook Domenico, uno degli educatori di Luigi. «Era un ragazzo solare e socievole, al corso si impegnava, si vedeva che voleva riscattarsi», ricorda Serena Capozzi, educatrice della cooperativa Il Quadrifoglio presso cui Luigi Caiafa stava seguendo i corsi inseriti nel piano di reinserimento sociale stabilito dai giudici che gli avevano concesso la messa alla prova. Una volta difese un ragazzo vittima di razzismo, e se c’era da dare una mano non si tirava mai indietro. Eppure l’altra notte era con un complice a fare una rapina: 100 euro e tre iPhone presi a tre giovani in auto sotto la minaccia di una pistola giocattolo. Ora il complice è in stato di fermo e oggi affronterà l’udienza di convalida, il poliziotto che ha sparato è indagato per eccesso colposo di legittima difesa come da prassi, e di Luigi restano solo i ricordi e il sogno spezzato di lasciare Napoli e aprire una pizzeria tutta sua.

Forcella e il contesto dove è nato e cresciuto gli stavano addosso come una zavorra. Succede a tanti: sognano in grande ma poi si ritrovano a fare i conti con il degrado del loro ambiente, con la scuola abbandonata troppo in fretta (il 40% dei giovani che finiscono in comunità di recupero non hanno la terza media), con un genitore in carcere o un parente nella criminalità organizzata, con i giri in motorino fino a notte fonda, con i soldi per scarpe e orologi griffati da recuperare, anche a tutti i costi.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).