Davide Bifolco e Ugo Russo. Sono entrambi figli dei luoghi abbandonati dallo Stato. Il primo ucciso a 16 anni nel Rione Traiano, la notte del 5 settembre 2014, al termine di un inseguimento con una gazzella dei carabinieri. Davide, insieme ad altre due persone, era in sella a uno scooter che non si fermò all’alt dei militari e venne successivamente speronato. Tentò la fuga a piedi e, mentre era a terra, venne raggiunto da un proiettile al petto partito dalla pistola d’ordinanza di un carabiniere, all’epoca poco più che trentenne. Davide non era armato, era su un “mezzo” senza assicurazione e con a bordo, secondo la tesi degli investigatori, un ragazzo (Arturo Equabile) ricercato per reati contro il patrimonio. Il militare che lo ha ucciso nel 2018 è stato condannato in Appello a due anni con pena sospesa per omicidio colposo.

Ugo Russo, nato e cresciuto nei Quartieri Spagnoli (zona ‘periferica’, quindi abbandonata, del centro di Napoli) è stato ucciso a 15 anni domenica 1 marzo. A sparare un carabiniere libero dal servizio nel corso di un tentativo di rapina. Ugo, che impugnava una pistola scenica di ferro e – secondo quanto accertato successivamente da medici e forze dell’ordine – era già in possesso di un orologio d’oro e una catenina, voleva impossessarsi del rolex che il giovane militare di 23 anni (in servizio da pochi mesi a Bologna) aveva al polso. Così si è avvicinato alla Mercedes, ha puntato la pistola contro il carabiniere, che si trovava in auto con la fidanzata, provocando la reazione di quest’ultimo. Tre i proiettili partiti in rapida successione dalla sua arma d’ordinanza. Il primo ha raggiunto Ugo al torace, il secondo alla nuca, il terzo, rivolto contro il complice di 17 anni, non è andato a bersaglio. Il militare, originario dell’area flegrea di Napoli, è al momento indagato per omicidio volontario in attesa che l’autospia, gli esami balistici e le eventuali immagini della telecamere di videosorveglianza chiariscano la dinamica di quanto accaduto. Dopo la morte di Ugo si sono vissute scene di ordinaria follia: dal pronto soccorso dell’ospedale dei Pellegrini sfasciato da parenti e amici della giovane vittima agli spari all’esterno del Comando provinciale dei carabinieri di Napoli ad opera di due persone a bordo di uno scooter.

Davide e Ugo sono vittime di uno Stato assente, che in questi giorni, così come sei anni fa, si mostra in passerella solo nella fase iniziale, annunciando provvedimenti, interventi, soluzioni, salvo poi ritirarsi lasciando sempre più allo sbando la vita di chi abita in zone sfortunate della città.

Sei anni dopo l’uccisione di suo figlio, Giovanni Bifolco aspetta ancora il risarcimento da parte dello Stato. Nel frattempo ha scontato da pochi mesi una vecchia condanna per furto ed è orgoglioso del successo internazionale di “Selfie“, il docu-film realizzato da Agostino Ferremte candidato ai prossimi David di Donatello.

Giovanni – attraverso il Riformista – manda un messaggio alla famiglia di Ugo, consigliando loro di andare avanti provando a trasformare “il dolore in possibilità per le persone, soprattutto i minori, che sono a rischio. Perché lo stato è l’elefante e noi siamo la formica.  La perdita di un figlio – spiega – è una ferita che non guarirà mai, vi consiglio di essere forti e di andare avanti trasformando il dolore in possibilità per le persone, soprattutto i minori, che sono a rischio. Perché lo stato è l’elefante e noi siamo la formica”.

Per Giovanni “siamo tutti responsabili per la morte di Ugo, io in primis. Sapevo che sarebbe successo un episodio del genere. E’ stato ammazzato, giustiziato, così come è avvenuto con mio figlio, anche se si tratta di due situazioni differenti: Davide era su un motorino senza assicurazione che non si è fermato a un posto di blocco, lui è andato a fare una rapina. Entrambi però sono morti di Stato”.

Il carabiniere che ha ucciso suo figlio Davide, che il mese prima dell’omicidio non partì per il ritiro con le giovanili del Padova perché litigò con il suo talent scout, è stato condannato dove una lunga querelle giudiziaria a due anni con pena sospesa. “La cosa che mi fa più soffrire è che alla fine queste persone non pagheranno nulla. Aldrovandi, Budroni, Mangarini, tutti questi morti nessuno li ha pagati. Chi ammazza deve pagare, sia se si tratta di camorra che di Stato. Se tu spari una persona una prima volta, non puoi mirare alla testa la seconda volta. Paradossalmente la famiglia Bifolco è diventata carnefice dello Stato, è come se noi avessimo ammazzato il carabiniere”.

“C’è una mafia all’interno dei carabinieri, della polizia, della guardia di Finanza. Non si può fare solo repressione” chiosa duramente Bifolco che racconta la sua ultima vicenda giudiziaria: “Per un reato di 12 anni fa, mi notificarono una condanna definitiva a 9 mesi e 27 giorni. Sono stato 3 mesi nel carcere di Secondigliano a Napoli, poi ho finito di scontare tutto ai domiciliari. Non ho avuto nessuna pena alternativa perché sono stato definito elemento pericoloso. Il motivo? Ho diverse denunce per oltraggio e minaccia a pubblico ufficiale. I miei sfoghi contro le forze dell’ordine sono diventati minacce per loro, io invece ero solo arrabbiato e deluso da quanto accaduto a mio figlio”.

Giovanni vive da sempre nel rione Traiano, frazione del quartiere di Soccavo, dove lo Stato è quasi inesistente. “Qui mancano strutture, palestre, oratori. Viviamo in luoghi abbandonati dalle Istituzioni. In periferie si chiudono scuole anziché aprirle, non vengono offerte alternative ai ragazzi. Per questo – spiega – non ci dobbiamo porre il problema sul perché Ugo ha commesso la  tentata rapina, ma sul perché lo Stato abbandona questi giovani“.

Dal lavoro che non c’è a un’idea, tutta particolare, sui reati minori: “Se non c’è impiego una famiglia come fa ad andare avanti? I piccoli delinquenti sono la Cassa del Mezzogiorno perché senza loro si fermano gli avvocati, gli uscieri, i giudici, i falegnami, i fabbri (perché noi scassiniamo le porte). ‘Se ci fermiamo noi – mi disse un mio compagno di cella –  finisce l’economia del mondo’. Poi se vogliamo pure pensarla in chiave religiosa: Gesù sulla croce ha salvato il ladrone (Barabba, ndr)”.

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Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.