Caro Direttore lei ha ragione quando, nell’editoriale di ieri, ha invitato tutti a sospendere ogni giudizio, a evitare di dar fiato alla propaganda partigiana che vorrebbe, sempre comunque e a qualunque costo, che ci si schierasse a sostegno del giovane carabiniere o dell’adolescente rapinatore ucciso a Napoli. Schierarsi così, puramente e semplicemente, senza conoscere la dinamica della tragedia, senza un’autopsia e senza una perizia balistica; schierati per puro pregiudizio.

Pochi mesi or sono il medesimo dramma, quasi il medesimo dramma, si è consumato a Roma a parti invertite. Un altro carabiniere, anche lui in abiti civili e anche lui dopo essersi qualificato, e un altro giovane che lo avrebbe accoltellato ferocemente e senza una ragione. Il processo è appena iniziato a Roma e, anche questa volta, una partigianeria congenita spacca l’opinione pubblica, evoca buchi neri, giustifica o crocifigge senza sapere con esattezza cosa sia successo. Due morti, due giovani vite spezzate. Anzi quattro giovani esistenze sfregiate e mutilate. Carnefici e vittime, a quella età, si distinguono a stento solo dalle mani sporche di sangue. Le strade sono luoghi pericolosi. A Roma come a Napoli. L’idea del baby rapinatore mezzo camorrista accresce l’eccitazione dei seguaci della giustizia sommaria, gratifica la convinzione che a farsi ragione da sé i cattivi hanno tutto da perdere, rafforza l’idea che armando i cittadini la sicurezza aumenterà e i malvagi, la prossima volta, ci penseranno bene prima di aggredire qualcuno.

Ma, a ben guardare, quella di Napoli è una triste vicenda in cui un cittadino “carabiniere” – e, quindi, solo per questo in possesso in un regolare porto d’armi – ha aperto il fuoco per difendere oggetti di sua proprietà da un giovanissimo rapinatore che aveva una pistola giocattolo. Poiché manteniamo fede all’impegno che ci è stato chiesto di non prendere posizione sull’accaduto, confermiamo che è giusto attendere per comprendere cosa sia capitato. Ma tutto ciò non esime dal ricordare quante critiche ebbero a sollevarsi prima e dopo l’approvazione della legge sulla legittima difesa e quanto forte sia stata e sia ancora la spinta – soprattutto da parte di alcuni settori della politica – a rendere ancora più liberi la circolazione e l’uso delle armi. Non esistono statistiche ufficiali che ci dicano quante persone restino uccise o ferite per legittima difesa in Italia: bisogna attendere lunghi e complessi processi per stabilirlo, appunto.

Quel che sappiamo, però, è che un giovane carabiniere, ben addestrato, colto di sorpresa dall’aggressione di un rapinatore ha sparato tre colpi di pistola. Il fatto che l’arma fosse una replica, che il rapinatore avesse 15 anni, che la rapina avrebbe fruttato pochi spiccioli non sono però il contorno della vicenda, ma ne rappresentano – paradossalmente – l’essenza più cupa e ammalorata.
La tragedia di Napoli, la doppia tragedia di Napoli, dovrebbe essere evocata ogni qualvolta si soffia sul terreno della paura e si invoca il ricorso alle armi come la strada principale per la difesa personale dal crimine. Se un giovane carabiniere, con tutto il suo bagaglio di prontezza di riflessi e con tutta il suo accurato addestramento, ha aperto il fuoco in una condizione come quella di Napoli, c’è da chiedersi cosa accadrebbe se quelle pistole finissero disinvoltamente nelle mani di panciuti commercianti o di sprovveduti tabaccai.

Lo Stato ha il dovere di proteggere, anche con le armi, la vita dei propri cittadini da ogni atto violento. Ma un identico dovere non è previsto per la difesa della proprietà privata la cui protezione con la forza è consentita dal codice penale (art.53) solo se si sta commettendo una rapina a mano armata. Quel giovane carabiniere avrebbe forse potuto sparare, dopo una ponderata decisione frutto del suo addestramento, se fosse stato in servizio e fosse intervenuto a difesa di qualcuno, ma avendo difeso sé stesso in quel momento era un cittadino qualunque e ha consumato il dramma di un cittadino come tanti altri. Ed è a quell’uomo di ogni giorno, pacifico e impaurito, baldanzoso e impacciato, laborioso e guardingo che occorre volgere lo sguardo oggi in questi giorni di sbigottimento e di tristezza. Certo aspettiamo di sapere com’è andata, caro Direttore, ma nel frattempo quel sangue versato aiuti a comprendere quanto pericolosa e tragica sia la strada delle armi dispensate con generosità a tutti.