Siamo su una strada radicalmente diversa da quella sulla quale eravamo nel 1948. Il ‘48 era l’apertura della strada dei diritti umani, della responsabilità individuale dei vari attori che violavano i diritti, della protezione delle collettività”. Si espresse così, il 29 maggio 2017, Cherif Bassiouni, professore emerito di diritto penale, uno dei padri della Corte Penale Internazionale (CPI). Stando alle scelte compiute da alcuni membri del governo, Di Maio in primis, si direbbe che la strada opposta a quella tracciata nel 1948 sia proprio ciò di cui l’Italia necessita. Una strada verso la modernità che ci conduce dritti a Pechino passando per la via della seta. Poco importa se è in realtà una via della sete di conoscenza che la pandemia Covid19 ha rivelato ed accelerato violentemente.

Il professor Bassiouni si sarebbe spento quattro mesi più tardi, a Chicago, dove insegnava ciò a cui si era dedicato per tutta la vita: il diritto, stessa fonte di vigore che muoveva Marco Pannella. Negli ultimi anni, il professore aveva voluto impegnarsi al fianco di Marco in un’iniziativa che molti hanno descritto come “l’ultima battaglia di Marco Pannella”, quella per il diritto alla conoscenza. Dopo aver collaborato all’istituzione della CPI, i due saggi si ritrovarono ancora insieme. Pannella oggi avrebbe compiuto 90 anni e trovo che le parole dello straordinario accademico rafforzino la visione e il progetto che ci ha lasciato Marco. Progetto connesso con il motto di Radio Radicale “conoscere per deliberare”, che ha trovato nuove ragioni dopo la sciagurata avventura militare in Iraq del 2003, il cui esito ha opacizzato i sistemi di democrazia consolidata degli Stati Uniti e del Regno Unito e reciso quasi mortalmente il rapporto fiduciario tra governo e cittadini.

La guerra prima e la volontà poi di appurare formalmente le responsabilità politiche di quell’azione politico-militare hanno intormentito e avviluppato Washington e Londra in un pressappochismo e uno smarrimento di leadership di cui aggressivi sistemi autoritari stanno oggi approfittando. Gli argini che restano ancora fieramente in piedi sono rappresentati dalla Regina e da istituzioni democratiche solide perché edificate su un principio che ha permesso loro di resistere alla prova del tempo: la separazione dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario. Nulla però è scontato ed è qui che infatti non si parrà la nobilitate di troppi attori politici che non sono altrettanto all’altezza di tale prova.

Ragion di stato, realpolitik, parlamenti incapaci di vigilare sugli esecutivi, multinazionali con poteri e bilanci più importanti di quelli degli Stati, regimi autoritari in aumento, democrazie che vanno snaturandosi sotto i colpi di misure emergenziali che limitano le libertà fondamentali indefinitamente (Ungheria), politicizzano la giustizia (Polonia), riducono il Parlamento a seccatura amministrativa da consultare sbrigativamente o rendono il sistema giudiziario l’ombra di se stesso ipotizzando la celebrazione di processi a distanza (Italia) in vista, magari, di sbrigarli su Whatsapp.

Il 26 aprile, in un articolo sull’Espresso intitolato “La conoscenza negata in tempo di morbo” sull’accesso alle informazioni e la risposta del governo al coronavirus, Roberto Saviano ha evocato l’iniziativa di Marco Pannella e del Partito Radicale dicendosi dispiaciuto di “non averne compreso pienamente l’importanza quando lui era ancora in vita”. La battaglia non è che all’inizio, Roberto, e per quanto il tratto percorso sia breve, ti assicuro che è più che farcito di insospettabili insidie. Già cinque anni fa ci rampognavano con la storia che era un’iniziativa “poco chiara”, “velleitaria”, “elitaria”. Tuttavia, nei prossimi mesi una commissione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa si dedicherà ad un progetto di risoluzione sul diritto alla conoscenza. Come immagini, ogni parola, ogni aiuto sarà prezioso.

Mai come oggi la mancanza di un diritto civile e politico alla conoscenza è più evidente. Cherif Bassiouni si era convinto che il diritto alla conoscenza è fondamentale per sanare le debolezze del sistema democratico, perché è “un passo in avanti importante, è un passo di principio; ma la battaglia sarà lunga, perché ogni passo sarà combattuto dagli Stati (…) Ma, ovviamente, non abbiamo scelta, non possiamo rimanere indifferenti”.

Ho voluto festeggiare i 90 anni di Marco con le parole di un’altra persona. Una voce che si unirà alle tante di compagni, amici, colleghi, avversari e giornalisti che oggi 2 maggio trasmetterà Radio Radicale. Molti di loro sono gli stessi che sono venuti a salutarlo quattro anni fa a casa prima che ci lasciasse il 19 maggio dopo la sua quarantena iniziata il 2 marzo 2016. Discutendo con gli altri sento spesso dire “chissà che casino avrebbe fatto Marco”. La mia risposta è la stessa ogni volta: non lo so. Quel che so è che, muniti del nostro “affetto stabile” da quasi-Stato-etico, sarei uscito volentieri con lui per accompagnarlo a Radio Radicale dove, affumicando lo studio e il virus, avrebbe ascoltato e dialogato con gli ascoltatori. Magari con Massimo Bordin a distanza di sbuffo di Toscanello. Sarei stato felice di vederlo incarnare con la sua “parola ornata” una coscienza collettiva, divenendo una sorta di oasi per i radioascoltatori. Un miraggio? Buon compleanno, Marco.