Quella fotografia al ristorante da Checco Il Carrettiere a Trastevere a Roma. Gianni Minà con Muhammad Alì, Robert De Niro, Sergio Leone e Gabriel Garcia Marquez. Quello scatto a sintetizzare una carriera lunga oltre sessant’anni, che ha raccontato lo sport, lo spettacolo e la cultura, la politica. Da una parte all’altra del mondo. Minà testimone del Novecento che ha incontrato i più grandi. La sua amicizia con Muhammad Alì, quella anche più intima con Diego Armando Maradona, quel giro in 500 nella notte romana con i Beatles, l’intervista di sedici ore a Fidel Castro nel 1987.

È morto ieri, a 84 anni, dopo una breve malattia cardiaca, come ha fatto sapere la sua famiglia. “Non è stato mai lasciato solo, ed è stato circondato dall’amore della sua famiglia e dei suoi amici più cari. Un ringraziamento speciale va al Prof. Fioranelli e allo staff della clinica Villa del Rosario che ci hanno dato la libertà di dirgli addio con serenità”. Aveva cominciato la sua carriera a Tuttosport nel 1959, nel 1960 aveva debuttato in Rai collaborando alla realizzazione dei servizi sportivi sui Giochi Olimpici di Roma. La sua prima intervista quella volta fu al maratoneta cecoslovacco Emil Zaopek. Soltanto l’inizio di una carriera lunghissima che lo aveva portato a intervistare e incontrare grandissimi protagonisti del Novecento.

Però con un rimpianto, uno solo, che si sarebbe portato dietro per tutta la vita. “Il mio rimpianto resta Nelson Mandela, nessuno mi ha fatto cambiare idea. L’ho conosciuto ma non ho fatto in tempo a fare la lunga intervista che avevamo programmato”, aveva raccontato in una lunga intervista a InchiostroOnline, periodico dell’Università Suor Orsola Benincasa, pubblicata nel giugno 2017. Mandela è morto il 5 dicembre del 2013, era stato il primo presidente sudafricano a essere eletto dopo la fine dell’apartheid e aveva ricevuto il premio Nobel per la pace nel 1993. Diceva in quella stessa intervista che oggi non avrebbe fondato alcun tipo di giornale. “Non fonderei proprio niente. Sarebbe uno spreco di energie perché il giornalismo è finito, non serve più, non racconta più la verità. Le nuove tecnologie hanno peggiorato tutto e continueranno a farlo. Riuscire a dominarle è un’utopia”.

Quei rapporti con i protagonisti del Novecento riusciva a costruirli “con il rispetto, credo di aver sempre dato e ricevuto rispetto. In questo modo, quello che non ti aspettavi di venire a sapere, te lo diceva direttamente l’intervistato. Una volta, in Argentina, mentre gli psicologi visitavano Maradona all’inizio della sua battaglia contro la cocaina, Diego mi disse di filmare tutto, ma alla fine io non avrei mai usato quel materiale perché credo che nessuno abbia il diritto di saccheggiare l’intimità di una persona. Da questo punto di vista il giornalismo di oggi è ridicolo, non ha etica. E poi si stupiscono se la gente risponde male. Non condivido l’aggressività con la quale i giornalisti si pongono oggi”.

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