Il futuro dei giovani
L’università non può essere serva del mercato
Si è indicata la necessità di potenziare, moltiplicandone il finanziamento, gli istituti tecnico-scientifici, canali paralleli alle attuali facoltà tecniche universitarie ad accesso post-diploma, per provvedere il mercato di addetti ben formati e utili alle fabbriche. Si è aggiunto che «la globalizzazione, la trasformazione digitale e la transizione ecologica stanno da anni cambiando il mercato del lavoro e richiedono continui adeguamenti nella formazione universitaria». Si è riproposto l’obiettivo dell’eccellenza tecnologica al servizio della concorrenza, benché lo stesso proponente abbia frequentato il liceo classico in un noto istituto romano di gesuiti.
Chi scrive vede luci e ombre. Il modello proposto è stato importante per lo sviluppo economico tedesco e francese. Questo inciderà sulle facoltà di ingegneria, specie nel triennio. Ritengo, in generale, che portare la formazione degli ingegneri fuori dal percorso universitario attuale, allocando le loro lauree e questi auspicati corsi nei politecnici, reciderebbe la presa egemonica degli ingegneri gestionali anche sulle facoltà umanistiche, motivo di rovina per i primi e per le seconde. Appresi da giovane i rudimenti del diritto urbanistico da un ingegnere amico di mio padre, avvocato, che sapeva di greco e di latino, ma oggi i giovani ingegneri che conosco, non me ne vogliano, sono mono-direzionali. Il sistema di valutazione delle università e dei relativi concorsi, su base algoritmica, con la pretesa di valutarne la qualità derivandola dalla quantità e frequenza dei “prodotti della ricerca”, di misurare l’estro col metro lineare, è per l’appunto una pessima invenzione di questa mentalità “aziendale”.
Personalmente deploro un’idea solo “tecnica” dell’università, benché molti miei colleghi di Giurisprudenza spingano in questa direzione, come pure certi professori di Medicina. Ho in questi studi l’esempio di una nipote, ora specializzanda, che è un vero fenomeno: laureata in tempo, quasi nessun voto meno di trenta o trenta e lode, ma con una mentalità esclusivamente da clinica. Quando le regalai un mio libro di biodiritto, ringraziandomi mi disse così: «È un esame che feci al primo anno». Il padre, egualmente medico, legge invece di tutto, scrive romanzi, è intellettualmente molto curioso. Giorgio Cosmacini, grande storico della medicina, dice giustamente che essa è basata sulla scienza, ma ha anche aspetti di “ars” e io la penso allo stesso modo circa il diritto, “ars boni et aequi”, come insegnava il giurista romano Celso.
Sono assolutamente convinto che la formazione scientifica e professionale tecnica, indispensabile in ogni disciplina, non debba escludere mai l’humanitas, tenere conto del mercato, ma non asservirsi a esso. Si sarebbe tutti migliori giuristi, migliori medici, migliori ingegneri ed è questo il senso di certe mie esortazioni ai giovani colleghi (strutturati e aspiranti) che faccio continuamente.
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