Napoli, magistrati in sciopero contro la riforma della giustizia. Andrea Castaldo, penalista e Ordinario di Diritto Penale all’Università degli Studi di Salerno: «Uno sciopero inutile che da l’idea di una categoria gelosa dei privilegi guadagnati nel tempo. Potevano confrontarsi invece di scioperare. Sembra di assistere a una congiura del silenzio sul referendum di giugno, sia da parte dell’ANM, sia però (e ciò è meno comprensibile) da parte degli organi di informazione».

Ieri magistrati con le braccia incrociate: in sciopero. Che senso ha questa mobilitazione contro la riforma?
«L’astensione di oggi dei magistrati produrrà sicuramente un risultato, quello di incrementare l’arretrato dei procedimenti in corso e di accumulare ulteriori ritardi. Ritardi che costano tantissimo in termini economici, dal momento che la durata del processo, unitamente all’incertezza degli esiti, fungono da deterrente per gli investimenti. Senza contare le numerose censure e rimbrotti che arrivano dagli organismi comunitari e che non contribuiscono di certo a migliorare l’immagine del Paese nel contesto comunitario e internazionale. Dubito invece che incrociare le braccia nella situazione attuale costituisca un valido deterrente per la riforma in cantiere e ritengo anzi che sia uno strumento sbagliato per perseguire le modifiche richieste».

I magistrati contrari alla riforma hanno paura di se stessi e del loro operato?
«Premesso che il discorso sul potere della magistratura e sulla giustizia in generale è estremamente complesso e ogni semplificazione comporta il rischio di banalizzare e di fare di tutt’erba un fascio, mi limito ad alcune riflessioni di massima. In primo luogo, l’astensione è una misura forte, drastica, della quale a mio avviso non si avvertiva il bisogno. Penso che sia anche politicamente non convincente, poiché fa passare il messaggio indiretto, agli occhi dell’opinione pubblica, di una corporazione refrattaria ad ogni modifica e gelosa di alcuni privilegi stratificatisi nel tempo. Per queste ragioni si poteva e si doveva agire attraverso gli enti di categoria, confrontandosi con le forze politiche e con il ministro Cartabia, che non si era sottratto al dialogo e anzi aveva aperto a proposte di emendamento».

Confronto che invece non c’è stato, è come se la magistratura vivesse in uno Stato a parte…
«Non mi è proprio piaciuto il ‘manifesto’ dell’ANM con il quale si affrontano gli argomenti dello sciopero (con tanto di punto esclamativo!), dove addirittura si legge che questa riforma avrebbe lo «scopo, inconfessato, [di] arrivare a un lento degrado antropologico della figura del magistrato». Al di là di slogan che fanno il verso a un’esasperata sindacalizzazione di natura oppositiva, la partita si gioca soprattutto su due aspetti: la ritenuta separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici e il fascicolo personale del magistrato. Con riferimento al primo aspetto, la riforma è in realtà persino timida e regolamenta una diversificazione dei ruoli (funzione inquirente e requirente), che – prima ancora che nel mondo giuridico – è evidente nella logica delle cose. Non si tratta perciò di punire, ma di mettere un freno a continui passaggi, i quali, oltre a incidere negativamente sui tempi, finiscono per annacquare le profonde differenze di metodo, di organizzazione, legate a compiti distinti e a disperdere le esperienze maturate. Specie negli uffici giudiziari di piccole dimensioni, peraltro, agli occhi del cittadino risulta poco comprensibile il trovarsi di fronte a magistrati che hanno ricoperto ruoli persino opposti, passando dall’essere parte all’essere giudice».

Un altro fattore che rallenta i processi?
«Come sanno benissimo gli avvocati, ma soprattutto gli imputati e le vittime dei reati, un fattore che rallenta di molto la decisione e allunga i tempi è rappresentato dal cambio durante il processo dibattimentale del magistrato giudicante. È un tema di cui si parla poco, ma che incide in misura rilevante sull’organizzazione complessiva e direi soprattutto sulla credibilità delle istituzioni. Infatti, il cittadino si aspetta che nel processo accusatorio, qual è il nostro, a giudicarlo sia la stessa persona fisica, il cui convincimento si è costruito nel corso del dibattimento attraverso la formazione delle prove. Se invece il giudice cambia, la decisione rischia di essere affidata a qualcuno che non conosce approfonditamente gli atti. A maggior ragione se si considerano i tempi lunghi per arrivare a sentenza e la mole di lavoro che grava sul magistrato, sicché i principi dell’oralità e del contraddittorio rischiano di diventare una finzione».

Valutazione dei magistrati per la progressione in carriera: perché dicono No?
«Indubbiamente è l’aspetto sul quale si sono appuntate le maggiori critiche, una sorta di brogliaccio e di registro nel quale andrà annotata la sua “carriera” e così, in alcuni casi, la conferma o meno delle indagini e delle ipotesi investigative. Si tratta delle famose inchieste flop che vengono annunciate con tanto di tintinnio di manette e titoloni sui giornali, per poi arenarsi nel limbo e nelle sabbie mobili. Questo profilo merita un approfondimento. Alcune obiezioni della magistratura sono pertinenti, quando si dice che il timore di decisioni originali o innovative successivamente cassate potrebbe portare a un appiattimento e ad una burocratizzazione della funzione. In altre parole, per evitare di essere “bocciati”, mi allineerò all’indirizzo maggioritario. Ma tutto sta nel modo in cui si intende il fascicolo personale e soprattutto, a mio avviso, alla domanda di fondo che resta: quale metodo introdurre e seguire per valutare la performance del magistrato? Perché, è bene intendersi, è tempo che un criterio vada elaborato e si possa procedere a uno scrutinio della professionalità del singolo, finalmente affrancato dalle generose e costanti valutazioni positive di rendimento da parte dei Consigli Giudiziari».

Come legge, invece, i 200 magistrati presenti all’interno delle istituzioni?
«Non conosco i numeri aggiornati dei magistrati fuori ruolo o distaccati nelle istituzioni. Di certo, è abbastanza surreale che ci si lamenti della carenza di organico, delle difficoltà di celebrare i processi e al contempo si utilizzino i magistrati e non le forze interne presenti in dette istituzioni».

Come si spiega il silenzio sul referendum sulla giustizia in programma a giugno?
«Me lo sono chiesto anche io e non trovo risposta. Effettivamente, sembra di assistere a una congiura del silenzio sul referendum di giugno, sia da parte dell’ANM, sia però (e ciò è meno comprensibile) da parte degli organi di informazione. Sembra che l’obiettivo sia quello di non far raggiungere il quorum e così accantonare il problema».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.