La struttura democratica del nostro Paese si basa su tre poteri: il legislativo, che compete al Parlamento; l’esecutivo che compete al Governo; quello giudiziario, che spetta alla Magistratura. La loro separazione è elemento essenziale. Ciò garantisce che essi non si concentrino in unica categoria o persona, al fine di scongiurare il pericolo di una dittatura. Tale premessa è di fondamentale importanza nel momento in cui si voglia esaminare quanto sta accadendo in questi giorni in merito alla riforma dell’ordinamento giudiziario, cioè all’introduzione di nuove norme in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura.

I partiti politici hanno assunto varie posizioni e il dibattito ha ridotto di gran lunga le aspettative di un concreto cambiamento e di un’effettiva svolta che potessero effettivamente apportare quelle modifiche di sistema per far riemergere il mondo giudiziario da un abisso mai prima d’ora toccato. Nonostante si prospettino, quindi, piccoli e poco significativi passi in avanti di quel necessario percorso di civiltà giuridica, l’Associazione nazionale magistrati ha ritenuto di annunciare una giornata di sciopero per denunciare all’opinione pubblica che la prospettata riforma non è altro che una legge per intimidire la magistratura. L’Associazione, a cui aderisce circa il 96% dei magistrati e che ha il fine di tutelare i valori costituzionali, l’indipendenza e l’autonomia della magistratura, ha, nei giorni scorsi, acquistato un’intera pagina dei più importanti quotidiani nazionali per illustrare le ragioni della protesta.

“Una riforma sbagliata” è il titolo che campeggia in alto e subito dopo una serie di affermazioni dell’Anm, che si concludono con il riferimento al rispetto del principio della separazione dei poteri e ricordando che i magistrati sono soggetti soltanto alla legge. Appunto! verrebbe da dire. C’è il potere legislativo che, unitamente a quello esecutivo, sta elaborando una riforma e, proprio nel rispetto della separazione dei poteri, quello giudiziario – che ha tutt’altre prerogative non meno importanti – non dovrebbe entrare a gamba tesa, addirittura minacciando di fermare la propria attività, incrociando le braccia per un giorno. La Costituzione prevede che i magistrati siano soggetti soltanto alla legge, non che debbano scriverle.  Tale principio di palmare evidenza, e che non può trovare diversa interpretazione, nel corso degli anni si è del tutto affievolito fino a far dimenticare i limiti delle competenze della magistratura che, pur avendo il delicato ruolo di indagare e giudicare, decidendo quindi delle sorti della vita altrui, non è chiamata a legiferare. Ma la storia, soprattutto recente, ci dice purtroppo che non è così. Con buona pace della separazione dei poteri.

L’attuale presidente dell’Associazione nazionale magistrati è stato capo dell’Ufficio legislativo del ministero della Giustizia dall’ottobre 2015 al febbraio 2018 ed in precedenza, dall’agosto 2013, ha svolto le funzioni di vice capo con compiti di coordinamento del settore penale. Cinque anni presso l’Ufficio legislativo. Del resto è prassi che il capo di Gabinetto del ministro della Giustizia sia un magistrato, mentre possono essere fino a duecento quelli fuori ruolo, la maggior parte dei quali distaccati proprio al ministero della Giustizia che, dunque, è gestito in gran parte dal potere giudiziario. Tale inconcepibile ed innaturale innesto – di cui si auspica la fine al più presto – ha avuto l’effetto di trasformare la cultura dei magistrati, i quali, invece di gestire il loro immenso potere giudiziario, cercando di esercitarlo nel migliore dei modi, vogliono un potere politico non di loro competenza. Nella predetta pagina a pagamento si legge, tra l’altro, che «avremmo voluto una riforma del Csm che riducesse il peso delle correnti..».

Ma le correnti non nascono in seno all’Anm? E non sarebbe opportuno che proprio l’Anm si ponesse finalmente il problema di ridimensionarne il potere, soprattutto alla luce di quanto accaduto negli ultimi anni? Ed ancora si legge: «Quella che si sta materializzando è una riforma che non ha come scopo quello di preservare la qualità delle decisioni dei magistrati…». Affermazione che mette in luce, ancora una volta, che chi giudica gli altri non vuole essere giudicato nemmeno dai propri colleghi – come del resto prevede la riforma – e la volontà di lasciare immutata la situazione attuale, nella quale non esiste alcuna concreta penalità per il magistrato incapace. Al più – e raramente – un trasferimento per fare danni in altri luoghi. Un incomprensibile e deleterio sciopero, dunque, di uno dei tre poteri dello Stato contro gli altri due poteri, nel silenzio – almeno fino ad ora – del Capo dello Stato che è anche capo del Consiglio superiore della magistratura.