“Né con la Cartabia, né con questa Anm”, è il titolo di un appello che sta girando da ieri pomeriggio sulle mailing list dell’Associazione nazionale magistrati. “Ci siamo illusi! Quando il ‘Sistema Palamara’ è venuto alla luce attraverso la pubblicazione delle famose chat, disvelando, per l’ennesima volta, come negli ultimi trent’anni, ciò che molti sapevano ma che pochi avevano avuto il coraggio di denunciare pubblicamente, nessuno in magistratura ha potuto continuare ad ignorare e a voltare la faccia dall’altra parte”, esordisce il documento che già dopo poche ore era stato sottoscritto da decine di toghe di diversi uffici giudiziari.

Allo scoppio del ‘Palamaragate’, prosegue “sono seguite dichiarazioni di aperta condanna: sconcertate ed indignate, da parte della “base” più o meno consapevole che si diceva ferita e amareggiata per il discredito che aveva colpito la categoria; altisonanti ed ipocrite, da parte di chi avrebbe dovuto astenersi dal porre in essere certe condotte e invece, dopo aver partecipato alle pratiche spartitorie, aveva approfittato della situazione per marcare differenze e operare distinguo”. “Si era detto con toni ultimativi e perentori – prosegue – che bisognava voltare pagina e che certi comportamenti non sarebbero stati più tollerati, perché altrimenti la politica ci avrebbe “riformato”, e lo avrebbe fatto con spirito di rivalsa e intenti punitivi che avrebbero finito per limitare l’autonomia l’indipendenza che sono riconosciute alla magistratura non come privilegio, ma nell’interesse esclusivo della collettività”.

Cacciato Palamara dalla magistratura, fanno intendere le toghe che hanno aderito all’appello, “l’indignazione generale ha lasciato il posto ad una critica di maniera, fatta di mere affermazioni di principio e di formule vuote, e, dopo una “caccia alle streghe” che ha colpito alcuni e risparmiato tanti altri – complice anche una circolare auto-assolutoria della Procura generale presso la Corte di Cassazione, titolare dell’azione disciplinare -, il “Sistema” ha ripreso a funzionare esattamente come prima”. Il risultato è stato che “i tanti colleghi silenti che dopo lungo tempo si erano finalmente fatti sentire per rivendicare la propria estraneità a certe logiche e la propria voglia di cambiamento, sono tornati nuovamente a ripiegarsi su se stessi”. Per fare un confronto, “la primavera araba” dei magistrati “è finita ben presto”. Se è questo è il quadro “desolante”, l’Anm allora cosa ha fatto?

“Non ha detto una parola per stigmatizzare la circolare della Procura generale in tema di autopromozione, ha professato una fiducia preconcetta nelle capacità taumaturgiche della ministra Cartabia di riformare con la bacchetta magica il processo civile e quello penale, accettando supinamente soluzioni scellerate e rifiutando di indicare rimedi di buon senso che avrebbero potuto accelerare la definizione dei processi, si è guardata dal promuovere il sorteggio temperato per la scelta dei candidati al Csm e la rotazione negli incarichi direttivi e semidirettivi, e una disciplina che ponesse fine ai privilegi (anche economici) dei magistrati fuori ruolo”. In pratica nessuna “seria “autoriforma” che smantellasse realmente il “Sistema” e tutelasse finalmente l’autonomia interna di tutti i magistrati”.

L’Anm si è allora “preoccupata unicamente di “patteggiare” con la politica una legge elettorale per il rinnovo del Csm che consentisse alle correnti di continuare a designare i propri eletti, in modo da poter gestire – con affidamento in house – il governo autonomo della magistratura” e “per salvarsi la faccia con la base elettorale, in vista della imminente campagna elettorale per il rinnovo del Csm, ha inscenato una protesta di maniera, tardiva e disorganizzata, contro una pessima riforma dell’ordinamento giudiziario, concepita in chiave meramente punitiva”. “La magistratura ha il dovere di recuperare l’onore e la credibilitá e, per farlo, deve avere il coraggio di dire la veritá innanzitutto a se stessa”, concludono i firmatari, ricordando il giuramento di fedeltà al Regime imposto nel 1931 ai professori universitari. “Giurarono tutti, meno dodici. Come ricordava Umberto Eco, “quei dodici hanno salvato l’onore dell’Università italiana””.