Quello di Napoli è uno dei distretti giudiziari più grandi d’Italia. L’attenzione ai temi della giustizia deve essere massima anche in questa città, capoluogo di criticità annose e lungaggini processuali a cui si fa fatica a porre rimedio. In questi giorni il dibattito ruota attorno alla riforma Cartabia e alla reazione dei magistrati che aderiscono all’Anm (associazione nazionale magistrati), cioè il partito dei pm, che contro questa riforma hanno proclamato un giorno di sciopero. Ne parliamo con il magistrato napoletano Paolo Itri, che dell’Anm decise di non far più parte nel dicembre 2020 quando diede le dimissioni per dire basta al correntismo su cui aveva acceso i riflettori il caso Palamara. Itri è tra i magistrati che hanno firmato il documento “Né con la Cartabia né con questa Anm” per denunciare che dopo l’iniziale indignazione e la critica di maniera che ne è seguita «il sistema ha ripreso a funzionare esattamente come prima».

L’Anm, dunque, è pronta a scioperare. Cosa ne pensa?
«Se non parlassimo di cose troppo serie per poterci scherzare, il surreale comunicato con cui l’associazione nazionale magistrati ha preannunciato l’indizione di una giornata di sciopero per protestare contro la riforma Cartabia meriterebbe una citazione in uno di quei bei film di Albanese in cui la deformazione fumettistica della realtà diventa un potente strumento di messa in ridicolo di certi personaggi pubblici che, con tono tronfio e solenne, sostengono improbabili programmi elettorali al solo scopo di perpetuare l’italica tendenza a imbrogliare, ma con orgoglio». Ma leggiamolo questo comunicato, che sembra partorito da un comizio elettorale di Cetto La Qualunque. Nel preambolo, il Nostro ci spiega che il Paese “ha bisogno di recuperare fiducia nella magistratura, ma per ottenere ciò serve una riforma che attui veramente l’articolo 107 della Costituzione, secondo il quale i magistrati si distinguono fra loro soltanto per le funzioni e che affermi chiaramente che non devono esistere carriere in magistratura. Invece questa riforma, continuando l’opera intrapresa dalla riforma Castelli-Mastella, crea una magistratura alta e una bassa, e aumenterà quell’ansia di carriera che tanto danno ha già fatto, e continuerà a fare”. E ancora: “il magistrato deve essere e sentirsi indipendente non soltanto da influenze esterne, ma anche nei rapporti all’interno degli uffici giudiziari”».

Come commenta?
«A leggerlo sono contenute più aporie, contraddizioni e riserve mentali in questo breve proclama che in un discorso del Grande Inquisitore de “I fratelli Karamazov”. Ma come – penseranno i lettori più attenti – proprio l’Anm, ossia il contenitore delle correnti, quelle stesse correnti che hanno prodotto personaggi come Palamara, trasformando il Csm in un nominificio senza regole, si mette a disquisire su come dovrebbe essere la figura del magistrato ideale, laborioso, disinteressato alla carriera, animato dal solo spirito di servizio, libero ed egualitario? Ma davvero costoro – abortito il tentativo, in realtà solo a parole, di una parte della politica di approvare l’unica riforma elettorale del Csm in grado di estirpare la malapianta del correntismo, ossia quella del sorteggio temperato – continuano ancora a discettare di magistrati che devono essere valutati solo per le loro capacità e la qualità del loro lavoro, indipendenti da influenze interne alla stessa corporazione? Mentre per anni e anni non hanno fatto altro che premiare la fedeltà alla corrente, perpetuando nel modo più becero le pratiche della cooptazione e della spartizione degli incarichi direttivi?».

La riforma, dunque, non riforma nulla, non tocca i privilegi dei magistrati.
«Direi che più che Dostoevskij, parlando di una magistratura alta e di una bassa, sembra di rileggere le parole di Orwell nel suo visionario romanzo distopico “1984”: “fin dall’inizio del tempo, al mondo sono esistite tre tipologie di individui: Quelli in Alto, Quelli in Mezzo e Quelli in Basso”. Qui il bipensiero, ovvero – secondo la magistrale definizione che ne offre il geniale scrittore britannico – quel “meccanismo mentale che consente di ritenere vero un qualunque concetto e il suo opposto a seconda della volontà del Partito, dimenticando nel medesimo istante il cambio di opinione e perfino l’atto stesso del dimenticare”, raggiunge davvero il suo apice. Nell’esprimere il concetto di una magistratura divisa in classi per censo e appartenenza, nella foga del proclama, l’ineffabile Cetto dimentica di citare Quelli di Mezzo, ovvero coloro che, fingendo di prendere le parti di Quelli in Basso e di combattere in nome della Libertà e della Giustizia, rovesceranno un giorno Quelli in Alto per prenderne il posto, perpetuando in tal modo, nell’indifferenza generale e con la complicità della politica, un meccanismo di rincorsa al Potere che si autoalimenta, a tutto danno dei cittadini, della efficienza del servizio giustizia e del comune senso della decenza. Sciopero? No grazie. Meglio una riforma inutile che servo del Potere».

All’assemblea dell’Anm il presidente dell’Unione Camere penali italiane, Gian Domenico Caiazza, è intervenuto chiedendo ai pm (a proposito della loro polemica per i giudizi sul fascicolo) perché tanta paura del loro stesso lavoro. Perché tanta paura?
«Quello che alla fine prevale sono quasi sempre o troppo spesso esigenze di natura corporativa, perché prevale l’esigenza di difendere a tutti i costi l’operato del collega o le esigenze di natura correntizia. La riforma non fa niente per fermare le degenerazioni corentizie, il controllo delle carriere dei giudici non è stato minimamente toccato».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).