Dietro la protesta la paura di essere “normali”
Rivolta delle toghe contro la ‘riformina’ Cartabia: “Solo noi diamo le pagelle”

Il primo maggio dei lavoratori in toga, le braccia incrociate a scioperare contro la Piccola Riforma del governo Draghi e della ministra Cartabia hanno un solo sapore, quello della paura di diventare “normali”. Di essere finalmente impiegati laici vincitori di un concorso, tramite il quale hanno avuto accesso alla gestione di una delle tre funzioni fondamentali dello Stato, quella giudiziaria, separata e complementare dei poteri legislativo e esecutivo. Non tollerano, soprattutto, che qualcuno (che poi sarebbero i loro stessi colleghi del Csm) possa dare la pagella al loro lavoro. La pagella, loro vogliono continuare a darla agli altri, non riceverla.
Niente fascicolo di valutazione dell’attività del magistrato. Non parliamo di separazione delle funzioni tra requirente e giudicante. A quel punto mettono sul tavolo la P38. Un comportamento che ricorda qualcosa e qualcuno, ma con atteggiamento opposto. Qualcuno che ha pagato un prezzo ben più alto. Le premesse però c’erano tutte, la necessità di correggere qualcosa che non andava. Ieri nella Casta dei politici, oggi in quella dei magistrati. Senza rancori né vendette. Quando nel 1993 un Parlamento di politici sconfitti abolì l’immunità, cioè l’unico contrappeso rispetto all’indipendenza della magistratura posto dai Padri Costituenti, grande fu il gaudio generale. Nessuno alzò la voce a ricordare che la separazione dei poteri necessita che ciascuno di essi sia forte nel proprio alveo.
Nessuno imprecò contro quelle toghe sempre più sfacciatamente invadenti nel dare le pagelle alla politica. Era pur vero che, troppe volte, nelle giunte di Camera e Senato, si era invocato il fumus persecutionis con percentuali altissime di parlamentari che venivano “assolti” dai loro colleghi e sottratti all’amministrazione della giustizia anche se avevano picchiato la moglie o rubato al supermercato. Ma era ancor più vero che le pagelle della giustizia, distribuite da soggetti che si facevano chiamare “Mani Pulite”, quasi fossero vindicatores di un mondo politico fatto solo da malfattori, si chiamavano manette. Senza di quelle non possiamo giudicare, dissero, né dare i voti ai politici. Ecco perché i parlamentari devono presentarsi a noi privi di ogni tutela. Devono essere cittadini come gli altri, dissero. Ma gli eletti dal popolo non sono, non possono e soprattutto non devono essere cittadini come gli altri. Proprio come i magistrati. E come gli uomini di governo. Hanno più doveri, ma la loro indipendenza, la loro autonomia e la loro imparzialità (che le toghe non citano mai) sono sacre.
Per trent’anni, da quel Parlamento di sconfitti fino a oggi, la politica è rimasta in balia non solo di una casta ben protetta nella sua cittadella, ma di un sistema giudiziario e mediatico che ne ha messo in ginocchio la reputazione e ne ha impoverito sempre di più la capacità di rigenerazione professionale e culturale. L’incapacità delle Camere ad avere una vita propria, indipendente dal Governo e soprattutto dalle incursioni dei pubblici ministeri ne è la riprova. Qualunque tentativo di riformare la giustizia, di avvicinarsi alla civiltà dell’occidente e dell’Europa è stato preso a pistolettate da una Casta perennemente in armi, sempre pronta ad abbattere il “cinghialone” piuttosto che il “cavaliere nero”. Parlamento ammutolito e Ministri della giustizia caduti come birilli, da Conso a Martelli a Biondi e Mancuso fino a Mastella. Bicamerali annientate, fossero presiedute dal democristiano De Mita piuttosto che dal comunista D’Alema.
Seduti quasi sacralmente sullo scranno più alto, questi uomini del Potere Dominante hanno giudicato e sfornato pagelle per tre decenni. Solo nei confronti di se stessi, dei propri comportamenti, del proprio modo di indagare e poi di valutare, la severità ha lasciato il posto all’indulgenza, le manette ai buffettini sulle guance. Così è che ogni anno il Csm “assolve” il 99% delle toghe “indagate” e ne condanna, spesso alla pena più lieve, il restante uno per cento. Vi ricorda niente, questo comportamento di generale autoassoluzione? Non è un po’ simile a quel che accadeva in Parlamento fino al 1993? Eppure, se vogliamo restare all’interno del paragone, di motivi per un po’ di autoanalisi anche tra le toghe ce ne sarebbero parecchi. Non sono sempre stati i magistrati a dire al mondo della politica che, se non si ha nulla da nascondere, se si è innocenti e puri come agnellini, non si devono temere le intercettazioni, le perquisizioni, le indagini? Le pagelle, in definitiva. Per quale motivo l’attività di un pubblico ministero e di un gip per esempio non possono essere esaminate nel metodo con cui hanno chiesto e deciso la privazione della libertà personale di un cittadino?
Se il Parlamento ha deciso con la votazione della Camera (e in seguito del Senato), di recuperare, sia pur con una Piccola Riforma, un po’ di autonomia perduta nel proprio ruolo di legislatore, è anche perché nel mondo del potere giudiziario si era sbriciolato qualcosa e molti nodi erano venuti al pettine. Accanimento nell’applicazione delle norme processuali sulla custodia cautelare che determinano un affollamento carcerario che non ha paragone in altri Paesi, violazione delle norme sulla competenza territoriale, applicazione “creativa” dell’obbligatorietà dell’azione penale. Sono alcune delle anomalie che un Csm (speriamo) rinnovato e più attento sarà chiamato e verificare. Se non avete nulla da nascondere, di che cosa vi preoccupate?
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