Finché c’è morte c’è speranza, scrisse nel lontano 1958 Tomasi di Lampedusa nella sua famosa opera Il Gattopardo. Ma qui, in Italia, quando si parla di giustizia, la speranza sembra ormai un concetto relegato al mondo dell’iperuranio, bandito oltre i confini della Terra, espulso oltre le invalicabili barriere dell’Ade. Perdete ogni speranza o voi ch’entrate nel magico mondo della Riforma Cartabia.

La Commissione di studio Luciani, istituita con d.m. 26 marzo 2021, ha partorito le sue proposte di intervento per le riforme dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio Superiore della Magistratura. E se c’è una cosa di cui gli autori del lavoro possono andare fieri è quella di essere riusciti nella – invero non facile – opera di non toccare nemmeno uno dei punti nodali del Sistema collaterale di potere così ben descritto dall’ineffabile Palamara. Ma vediamo le cose da vicino. Le norme che regolano le nomine dei direttivi e le progressioni di carriera dei magistrati restano sostanzialmente invariate, tranne qualche piccolo accorgimento più apparente che reale, come ad esempio quello che prevede che, nei procedimenti per la copertura dei posti direttivi, il Csm proceda ad accertare l’avviso dei rappresentanti dell’avvocatura, nonché dei magistrati e dei dirigenti amministrativi assegnati all’ufficio giudiziario di provenienza dei candidati (una norma invero alquanto demagogica e di difficile applicazione, se solo si pensa che coloro che sono chiamati ad esprimere la loro opinione sono soggetti a loro volta tutti potenzialmente esposti al giudizio e agli strali del futuro dirigente dell’Ufficio).

Ma soprattutto, restano praticamente immutati la sostanziale insindacabilità dei criteri delle nomine e il bizantinismo di fondo che ispira il sistema di pseudo-controlli che già informa l’attuale impianto normativo e regolamentare sulla dirigenza giudiziaria: in una parola, il quadro normativo di riferimento che ha consentito (e che continuerà presumibilmente a consentire) la perpetrazione degli innumerevoli abusi del Sistema di potere correntizio in danno dei magistrati “non allineati” e dei poveri cittadini che avranno la sventura di andare a sbattervi contro. Resta per contro (e non a caso) irrisolto il vero nodo della questione: chi controlla i controllori? Come si fa, a prescindere dal contenuto della riforma – che, si sottolinea, dovrà pur sempre essere interpretata e applicata da magistrati e componenti laici del Csm -, ad evitare che i nuovi eletti al prossimo Consiglio Superiore possano ricadere negli stessi “vizietti” di quelli che lo hanno preceduto?

La risposta è una sola: occorre recidere definitivamente il cordone ombelicale che lega i magistrati designati al Csm alle correnti, che sono il vero e proprio cancro da cui sono poi partite le metastasi delle nomine “eccellenti” pilotate dai vari Palamara e, per il loro tramite, dalla stessa politica. Il nuovo sistema elettorale del Csm, se vorrà realmente incidere su tale situazione, non potrà che basarsi sul sorteggio (seppure “temperato”) dei candidati, che dovranno poi essere eletti dai loro colleghi in maniera indipendente da ogni appartenenza correntizia. Ma vi è un secondo punto di straordinaria importanza, che, stranamente, non è stato nemmeno preso in considerazione né dal progetto di riforma e nemmeno dai quesiti referendari. Ed è quello – verosimilmente poco conosciuto ai più – della immunità (prevista peraltro da una legge ordinaria e non da una norma costituzionale) introdotta nel 1981 dall’art. 32 bis della l. 24 marzo 1958 n. 195, che manda esenti da conseguenze civili e penali i consiglieri del Csm, disponendo che «i componenti del Consiglio superiore non sono punibili per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni, e concernenti l’oggetto della discussione».

Un’anacronistica immunità che riguarda ogni tipo di responsabilità, sia essa civile, penale o disciplinare, in base alla quale, si badi, a differenza del lodo Alfano, gli illeciti resteranno impuniti anche dopo la scadenza del mandato di consigliere del Csm. Non sono necessari grandi progetti di riforma. L’abolizione della immunità del Csm, unitamente alla introduzione del sorteggio temperato metterebbero la parola fine a un Sistema di potere che ha negli ultimi decenni condizionato non solo la Magistratura ma anche probabilmente la stessa fisiologia delle dinamiche politiche del nostro Paese.