L’Associazione nazionale magistrati ha scelto il 16 maggio come giorno per lo sciopero (“astensione totale dalle funzioni” hanno deliberato) contro la riforma Cartabia, quindi contro la riforma dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio superiore della magistratura. Una riformina, dopotutto. Che agita fortemente gli animi delle toghe al punto da spingere loro, espressione di un potere dello Stato, a protestare contro un altro potere dello Stato. Agita le toghe, dicevamo, soprattutto quelle legate alle correnti. Per fortuna non tutte.

Fabio Lombardo è giudice per le indagini preliminari al Tribunale di Napoli, iscritto all’Anm, non iscritto ad alcuna corrente. Prima di entrare in magistratura ha fatto per dieci anni l’avvocato penalista: il mondo della giustizia, dunque, ha potuto osservarlo dalle due angolazioni opposte. Il 16 maggio sarà regolarmente a lavoro.
«Non sciopererò – spiega – . Un giorno di astensione dalle udienze non serve a niente e non sarebbe compreso dalla collettività che già, a torto o a ragione, ci accusa di essere “lenti” e di lavorare poco. La contrarietà a questa pessima riforma doveva essere espressa in altro modo, magari di sabato o di domenica, senza rinviare neanche un’udienza».

Questa magistratura vive una fase di crisi di fiducia e di credibilità che ha radici profonde nello scandalo Palamara e in vicende interne alla Anm stessa. Ci si aspettava un cambiamento radicale, invece la categoria continua a non voler affrontare alcun concreto cambiamento, a non volersi mettere in discussione. Perché secondo lei?
«Palamara non ha fatto tutto da solo, ma è stato il capro espiatorio che ha pagato per tutti. Quando il “Sistema” è venuto alla luce, molti, giustamente, si sono detti indignati, ma quella che è mancata è stata una seria autocritica, a cominciare da chi aveva partecipato alle pratiche spartitorie. C’è stata una “caccia alle streghe” che, nel silenzio colpevole dell’Anm, ha colpito alcuni e risparmiato tanti altri. È stata un’occasione persa».

Secondo lei come sarebbe stato più opportuno reagire?
«Avremmo dovuto farci promotori di una serie di proposte concrete che smantellassero realmente il “Sistema” e tutelassero finalmente l’autonomia interna di tutti i magistrati. Il sorteggio temperato per l’elezione dei membri del Csm, a mio avviso, poteva essere una soluzione praticabile, perché avrebbe impedito alle correnti di continuare a designare i propri eletti nel Consiglio Superiore. In alternativa, si sarebbe potuto introdurre primarie vere e obbligatorie tra i candidati, prevedere il voto plurimo e il cosiddetto panachage (che avrebbe consentito all’elettore di scegliere i migliori nelle diverse liste, invece di esprimere un voto di mera appartenenza correntizia). Avremmo dovuto pretendere una disciplina che introducesse delle incompatibilità tra gli incarichi ricoperti nell’Anm e nel Csm, che prevedesse (se non la rotazione, quanto meno) criteri meno arbitrari nel conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi e che ponesse fine ai privilegi (anche economici) dei magistrati fuori ruolo. Come categoria, non abbiamo fatto alcuna proposta concreta. Qui sta la nostra colpa più grande».

E poi c’è la posizione assunta sul tema delle valutazione professionali. I magistrati hanno paura del proprio lavoro, temono il giudizio dei loro stessi colleghi…
«Il sistema delle valutazioni professionali poteva certamente essere migliorato, ma è assurdo pensare che un gip debba essere valutato non tanto per le ordinanze cautelari che ha emesso e che vengono confermate o annullate dal Tribunale del riesame, ma per il fatto che – a distanza magari di anni e sulla scorta delle prove fornite dalla difesa – l’imputato sarà stato assolto o condannato. Inoltre, sono anni che chiediamo, invano, di poter essere messi in condizione di conoscere gli esiti, in appello, dei nostri processi (senza dover chiedere notizie all’avvocato di turno), ma il sistema – che adesso vuole far dipendere le nostre valutazioni proprio da quegli esiti – non lo consente».

Lungaggini processuali, errori giudiziari, innocenti in carcere: la giustizia è piena di criticità. Come si può migliorare?
«Nel mese di giugno 2021, con alcuni colleghi, avevamo scritto una lettera aperta alla ministra Cartabia per indicare dieci riforme a costo zero che avrebbero ridotto i tempi dei processi penali e contribuito a risolvere alcuni dei problemi endemici della nostra giustizia, ivi compreso il sovraffollamento carcerario. In quella lettera, chiedevamo tra l’altro di introdurre la domiciliazione ex lege dell’imputato presso il difensore di fiducia, come nel processo civile (in modo da non dover più rinviare un processo soltanto per un’omessa notifica); di prevedere il giudizio abbreviato come forma di giudizio ordinario (e il dibattimento a richiesta dell’interessato); di consentire all’imputato di patteggiare senza limiti di pena e di tempo (anche durante il dibattimento); di rivedere il sistema delle pene, consentendo al giudice della cognizione di condannare l’imputato ad eseguire lavori di pubblica utilità o alla detenzione domiciliare (senza dover aspettare il magistrato di Sorveglianza); di abolire il divieto di reformatio in peius che costituisce un incentivo alle impugnazioni meramente dilatorie; di operare una seria depenalizzazione. Niente di tutto questo: per ridurre i tempi dei processi, si è introdotta soltanto l’improcedibilità dell’azione penale in appello».

A breve ci saranno i referendum sulla giustizia. Contengono quesiti di ispirazione garantista e quasi non se ne parla, snobbati dalla politica, eppure toccano temi che sono di grande interesse per tutti. Per quanto riguarda la categoria delle toghe, in particolare, uno dei quesiti riguarda la separazione delle carriere dei magistrati sulla base della distinzione tra funzioni giudicanti e requirenti. Cosa ne pensa?
«Non sono pregiudizialmente contrario alla separazione delle carriere, purché si faccia con legge costituzionale, prevedendo due Csm diversi. Ma dubito che il vero problema sia l’unicità delle carriere dei magistrati o la possibilità di passaggio da una funzione all’altra. Ho fatto l’avvocato per quasi dieci anni e penso che essere stato “parte” (pm o difensore) mi aiuti ad essere un giudice super partes».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).