Quando andavamo a scuola, almeno noi boomer, eravamo terrorizzati da una grave insufficienza: il 4 era uno spauracchio. Oggi scopriamo che un voto che equivale a un “dal 3 al 4” è di fatto una buona sufficienza. Almeno per i magistrati. Infatti un magistrato avrà conseguenze sulle valutazioni di professionalità solo se oltre due terzi dei suoi provvedimenti o delle sue richieste risultano annullate, riformate o rigettate: insomma, si può sbagliare il 66% degli atti prodotti. È quanto prevede la circolare sulle valutazioni di professionalità dei magistrati, quella che introduce le cosiddette “pagelle” basate su criteri oggettivi e “democratici”.

L’approvazione del Csm: promossi anche con ‘un 3’

Il provvedimento – introdotto dalla riforma Cartabia – è stato approvato dal plenum del Csm a maggioranza, con l’astensione del consigliere laico Ernesto Carbone. Mano leggera? Leggerissima, come la musica di Colapesce e Dimartino. Per stare sull’onda delle note, potremmo dire “Nessuno mi può giudicare”, come sosteneva nel 1966 Caterina Caselli. Sostanzialmente sembra così, anche perché – secondo la relazione del Csm – “tale incidenza statistica non dovrà essere valutata acriticamente ma andrà ponderata in concreto” dovendo considerare se il numero statisticamente rilevante “dipenda da cause non imputabili ad eventuale difetto del magistrato”. Dunque il Csm mette le mani avanti: i due terzi degli atti sbagliati potrebbe non essere la soglia utilizzabile per il voto in pagella. Si potrebbe essere promossi anche con un 3. E allora perché stupirsi se nel 99,2% dei casi le toghe ottengono valutazioni di professionalità positive durante il loro percorso di carriera?

Dov’è lo scontro tra politici e maigstrati?

Manica larga, che dovrebbe smentire la retorica che ripete ossessivamente la contrapposizione tra magistrati e politici. Tutto finto. I primi possono sbagliare e sbagliare tanto, senza poter immaginare di essere “bocciati”. I secondi che ogni tanto – almeno nel centrodestra – sembrano pronti ad accusare gli altri di politicizzazione, non fanno nulla per modificare questa sostanziale impunità. Dove sta lo scontro tra politici e magistrati? Sui giornali, in qualche convegno, in qualche dichiarazione al vetriolo per conquistare un titolo nei lanci di agenzia, ma anche i politici del centrodestra mordono il freno. Anche il governo più ostile – a parole – si trasforma in un burbero benefico, quando si tratta di toccare la condizione reale delle toghe.

I magistrati fuori ruolo

Non da oggi, in verità, molto prima di questa operazione finta sul merito. Circa un anno fa, tanto per fare un esempio, il ministro Nordio – che oggi ha affidato alla circolare del Csm le modalità di compilazione delle “pagelle” – aveva auspicato una riduzione da 200 a 20 magistrati fuori ruolo. “Sono favorevole a una forte riduzione dei magistrati fuori-ruolo: credo che dei 200 attualmente distaccati ne basti solo il 10%, gli altri dovrebbero tornare a lavorare nei tribunali”, disse il Guardasigilli in un’intervista prima delle elezioni del 2022. Ma un anno e mezzo dopo, nell’autunno del 2023, aveva cambiato radicalmente idea. Il decreto legislativo approvato dall’esecutivo, infatti, ha ridotto il limite massimo di magistrati ordinari collocabili fuori ruolo da 200 a 180. Soltanto 20 unità in meno. Altro che stretta.

Il vero giudizio sospeso

Quando si tratta di “toccare” la sostanza del ruolo della magistratura tutti nascondono la mano. E tornano a cuccia. La magistratura è debordante? Vuole fare politica? Ma quando si tratta di giudicare l’operatività dei giudici sembra che il giudizio venga sospeso e si archivia ogni considerazione sul merito e le competenze. Tante parole “contro”, tante chiacchiere, ma ogni atto, ogni provvedimento preparato dalla politica – compresa la maggioranza del governo attuale – va contro questo clima di guerra apparente. Nei fatti i toni accesi svaniscono, le polemiche si sciolgono come neve al sole. Eppure i numeri che sommano errori giudiziari e ingiuste detenzioni fanno paura. Dal 1991 al 31 dicembre 2022 i casi sono stati 30.778. Dunque, in media, circa 961 l’anno. Tre al giorno.

Il tutto per una spesa complessiva dello Stato gigantesca, tra indennizzi e risarcimenti veri e propri: 960 milioni 781mila euro e spiccioli, per una media annuale di poco inferiore ai 29 milioni e 114mila euro l’anno. Danni alle persone e alle casse dello Stato, eppure il pugno di ferro viene sostituito da un guanto di velluto. Con questi numeri la bonomia delle pagelle sembra una piccola (o grande?) presa in giro. Ci si straccia le vesti per un “tweet” (oggi dovremmo dire per un “X”) di un magnate americano, ma nessuno che rammenti il caso Zuncheddu, condannato ingiustamente al carcere a vita; o il caso Tortora, che resta solo una memoria storica, un documento ingiallito, finito in archivio. Magistrati intoccabili, ma tutt’altro che infallibili. Ma di certo mai vittime della politica, che al massimo abbaia come il cane alla luna, che resta irraggiungibile nel cielo più alto.