"Nominificio correntizio"
Andrea Mirenda, il magistrato anti-correnti del Csm: “Solo il sorteggio può far cessare il mercato di nomine e di protezioni”
Andrea Mirenda è magistrato e componente del CSM non appartenente ad alcuna corrente. Nel suo profilo pubblicato sul sito ufficiale del CSM si legge che si è sempre battuto “contro i degradanti fenomeni del correntismo”. Gli abbiamo chiesto di spiegarci il suo punto di vista sul quadro politico che fa da sfondo all’approvazione del Testo Unico Dirigenza, che diventerà il regolamento fondamentale per decidere la nomina dei capi degli uffi ci giudiziari. Al CSM è in discussione il Testo Unico Dirigenza, circolare attuativa del Dlgs. 44/2024 emanato a seguito della Riforma Cartabia (Legge n. 71/2022). Dovrebbe specifi care i criteri per la scelta dei candidati agli uffi ci direttivi (per esempio, per chi ci legge, il Procuratore Capo). Innanzitutto, come ha funzionato fino adesso, prima e dopo il c.d. “scandalo Palamara”?
La Riforma Cartabia ha veramente inciso sulla realtà delle cose, orientando l’azione del CSM verso la meritocrazia? Ha superato il carrierismo e l’egemonia delle correnti?
La c.d. Riforma Cartabia poco o nulla ha voluto fare per porre serio rimedio al nominificio correntizio; del resto, essendo stata concepita in seno all’apparato burocratico ministeriale – zeppo, come è noto, di magistrati fedeli al Sistema delle correnti – ben poco vi era, quindi, da aspettarsi.
Le proposte approvate in quinta commissione questo martedì e che approderanno al plenum del CSM sono due. Quella di Unicost e Magistratura democratica, sostenuta anche da Lei e dal Consigliere Fontana, e quella che vede la singolare convergenza di Magistratura Indipendente e Area. La prima introduce dei punteggi, fissi e variabili, connessi agli elementi di valutazione codificati dal decreto attuativo, la seconda pare valorizzare più l’anzianità e l’esperienza. Mi riesce a spiegare cosa è accaduto?
Senza perdersi in tecnicismi di non agevole comprensione, posso dire che la controproposta elaborata dai due principali stakeholders del nominificio nasce unicamente dalla volontà di neutralizzare il rigore della c.d. Proposta B (n.d.r.: quella sostenuta da Unicost, Magistratura Democratica e dai due consiglieri indipendenti), non certo per aumentarlo. Chiaro è il fine perseguito da Area e MI con questo, neppure tanto singolare, connubio: assicurarsi, per quanto possibile, una forte discrezionalità “a valle”, caso per caso, secondo quella sciagurata politica delle mani libere che ha demolito, sin qui, la credibilità interna ed esterna del Governo Autonomo della Magistratura. Di contro, la proposta che noi sosteniamo, mira a limitare fortemente la discrezionalità consiliare, confinandola pressoché esclusivamente “a monte”, in sede di regolamento, attraverso una sorta di pesatura anticipata dei criteri di selezione: le scelte “a valle” diverranno, quindi, assai più prevedibili e riconoscibili, rendendone più agevole la successiva analisi critica e l’eventuale impugnazione davanti al Giudice Amministrativo.
Secondo Lei per quale ragione la magistratura associata è così restia alle valutazioni di professionalità, alle “pagelle”, al fascicolo personale? Eppure in tutte le realtà lavorative il dipendente è sottoposto a valutazione per tutto il corso della sua carriera, anche per crescere per meriti conquistati sul campo.
Il problema “pagelle” è davvero delicatissimo. Chi accetterebbe di essere giudicato da un magistrato “sufficiente”? Chi salirebbe su un aereo comandato da un pilota “sufficiente”? I cittadini rivendicherebbero, e giustamente, di essere giudicati da un magistrato “ottimo”, non certo da quello “sufficiente” che capiterà loro in virtù del principio del giudice naturale precostituito.
Appare chiaro, così, che la pagella può divenire strumento occhiuto di delegittimazione del singolo magistrato, esponendolo al rischio di uno stigma che – per come vanno concretamente le cose in magistratura – potrebbe derivare da valutazioni tutt’altro che obiettive e trasparenti. Se si ha presente il controllo militare esercitato dalle correnti sull’intero circuito dell’Autogoverno (dirigenza giudiziaria, Consigli Giudiziari, CSM) diviene allora agevole comprendere come le c.d. “pagelle” divengano un formidabile mezzo di condizionamento del magistrato, attraverso la più subdola e insidiosa delle minacce alla sua indipendenza: quella interna.
Siamo certi che un magistrato, che per formazione non ha mai studiato come organizzare mezzi e risorse umane, sia in grado di dirigere un ufficio complesso come un Tribunale o una Procura? Non sarebbe meglio scindere la funzione giurisdizionale, garantendone l’autonomia e l’indipendenza, da quella amministrativa e organizzativa?
Non posso che concordare: diciotto anni di Testo Unico sulla Dirigenza hanno dimostrato l’inconsistenza ideologica dell’“attitudine direttiva”, buona solo – per quanto, purtroppo, si è apprezzato – a gerarchizzare l’ordine giudiziario, in contrasto col modello costituzionale che vuole magistrati soggetti soltanto alla legge e con pari dignità, senza peraltro alcun misurabile vantaggio sul piano delle performance degli uffici.
Se davvero la politica avesse a cuore la managerialità nel settore giustizia, allora dovrebbe dare ingresso alla figura del Court Manager, con idonea autonomia di mezzi e personale, chiamandolo a realizzare – in leale cooperazione con il dirigente giudiziario – quei programmi organizzativi che, di regola, a dispetto dei rituali editti pretori, restano lettera morta, nell’irresponsabile disinteresse generale. Del resto, a nessuno sfugge l’evidente mancanza di una reale formazione manageriale di base dei magistrati; ed ancora essa – quand’anche fantasiosamente la si volesse immaginare – resterebbe comunque vanificata dalla totale assenza di autonomia finanziaria, leva di spesa e spoil system del dirigente; si aggiungano, a completamento e a definitiva riprova dell’ineffettività della “dirigenza giudiziaria” per come oggi concepita, la fortissima centralizzazione burocratica degli Uffici in capo al Ministero della Giustizia e il reticolo fittissimo di circolari organizzative elaborate dal CSM, tali da imporre al dirigente un percorso gestionale praticamente… sotto dettatura.
Cosa resta, così, dell’attitudine direttiva se non il “flatus vocis”? Meglio, dunque, a saldi invariati, affidare il coordinamento dell’ufficio a tutti i magistrati che lo compongono, nell’ordine di anzianità e a rotazione, nel rispetto della loro pari dignità.
Il sorteggio dei componenti del CSM potrebbe risolvere i problemi del correntismo?
Devo subito dire che esso dovrà valere anche per la componente laica, per assicurare pari dignità a tutti i componenti dell’organo consiliare. Detto questo, il sorteggio ha tutti gli anticorpi per azzerare, nel breve periodo, l’occupazione correntizia del CSM, facendo cessare il mercato delle nomine e delle protezioni. Grazie ad esso, in Consiglio giungeranno finalmente giuristi liberati da debiti di riconoscenza verso le ben note conventicole e i gruppi di potere, diversamente da quanto accade oggi; e sempre nel breve-medio periodo le correnti perderanno la loro principale forza attrattiva quali “uffici di protezione e collocamento” per compari e comparielli, riscoprendo la loro primigenia funzione di preziosi motori di idealità, essenziali per la crescita della cultura giurisdizionale.
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