Sono trascorsi ormai più di 40 anni dall’approvazione della cosiddetta Legge Basaglia e il conseguente superamento dei manicomi che coincise – pressappoco – con l’istituzione del Sistema sanitario nazionale, ma il tema dell’assistenza ai malati psichiatrici è ancora apertissimo. Quella riforma ha garantito una vera e propria svolta, ma il percorso non è ancora completo perché la risposta istituzionale a chi è vittima di disagi mentali, specie nella terza età, è ancora ben lontana dall’essere soddisfacente.

I malati psichiatrici, sottratti al regime sanitario obbligatorio, sono ancora oggi gravemente penalizzati sotto il profilo della cura e del trattamento. Se non si possono più, per fortuna, definire invisibili, neanche si può dire che siano adeguatamente serviti. I percorsi sanitari che riguardano questi pazienti sono, infatti, gravemente intralciati da una farraginosa burocrazia, associata a una cronica insufficienza delle strutture pubbliche. Si determinano quindi disagi terribili che – nei casi più fortunati – si estendono alle famiglie, molte delle quali, nonostante enormi sacrifici, non riescono ad aiutare come vorrebbero i loro congiunti.

Dico “nei casi più fortunati” a ragion veduta. Poiché di frequente, in particolar modo per gli anziani, si tratta di persone che non solo si trovano nella triste condizione di non poter provvedere a sé stessi, ma che spesso non hanno altri al mondo. Ed è per questi malati che, non di rado, la condizione patologica si può trovare aggravata dal morbo sociale dell’abbandono. Discorso a parte – più complesso e certo non meno importante – meriterebbe l’universo delle strutture private, passando dal loro accreditamento alla funzione integrativa, se non addirittura sostitutiva, cui dovrebbero assolvere. A questo proposito, il sistema cosiddetto convenzionato ha mostrato tutta la sua fragilità in occasione dell’emergenza che si è dovuta affrontare in occasione della pandemia da Covid-19.

Quand’anche i malati non siano persone sole, il problema della degenza specializzata permane, poiché appare ancora gestito come in regime d’emergenza. Non si contano i casi di ricoveri negati e le conseguenti situazioni di estremo disagio. Bisogna capire infatti che non poter assicurare la degenza a un anziano, ad esempio colpito da demenza senile severa, vuol dire condannarlo a un’assistenza approssimativa e insufficiente, per quanto possa essere prestata – come dicevo sopra, nei casi più fortunati – amorevolmente.

Occorre rivedere con estrema attenzione e urgenza i percorsi sanitari che sono destinati all’assistenza di questi malati, perché non è ammissibile che il sistema vada in cortocircuito proprio nei riguardi dei soggetti che sono per definizione più fragili e indifesi. E altrettanto vanno tenuti gli occhi bene aperti su tutte quelle situazioni nelle quali la degenza non sia attrezzata per un’assistenza specialistica e continua, capace di fornire non solo le cure ma anche tutti gli altri stimoli umani dei quali un paziente psichiatrico ha assoluto e vitale bisogno.

Questo è uno di quei temi che richiede un richiamo periodico alla coscienza, quasi fosse un vaccino stagionale. Perché, a quanto pare, molto rapidamente precipita lontano dal cuore, così come s’allontana dagli occhi. Tutto questo un paese moderno e civile non può permetterselo e, comunque, a non consentirlo dovrebbero essere buonsenso e dignità.