Essere genitori è un mestiere complesso, fatto di errori commessi con le migliori intenzioni, sperando che il tempo sia clemente nel rivelarci la gravità dei nostri sbagli. Con mia figlia Alice, ho sempre cercato il dialogo. Forse troppo. Uno psicologo potrebbe dire che l’ho “adultizzata”. Le ho raccontato una “fantastica realtà” invece di proteggerla con “realtà fantastiche”. Diciamo così, le ho parlato troppo delle foibe e raccontato poche fiabe. La consapevolezza di questo errore mi è piombata addosso ieri sera, quando, con i suoi 11 anni, mi ha chiesto perché Monica (interpretata da Paola Cortellesi) nel film Come un gatto in tangenziale 2 fosse stata arrestata senza rischio di fuga, inquinamento delle prove o ripetizione del reato. In quell’istante ho visto chiaramente i miei sbagli di “papàadultizzante”, ricordando tutte le volte in cui le ho spiegato il garantismo come pilastro della convivenza civile. Voglio che mia figlia creda nella giustizia e nel rispetto reciproco. Forse, spero che lei sarà garantista con me quando, inevitabilmente, mi giudicherà, e che anche a me siano applicati tutti gli strumenti di tutela possibili, prima della sua sentenza.

La ‘Patata Bollente’

Oggi, mi trovo in difficoltà a spiegarle cosa sta accadendo, soprattutto da parte di chi dovrebbe incarnare i valori che provo a trasferirle. Il rispetto sembra diventato un’opzione e anche i “buoni maestri” appaiono disorientati. Navigando nei mari del “politicamente corretto”, qualcuno ha smarrito la bussola della correttezza. Solo pochi mesi fa, la Cassazione ha confermato la condanna di Feltri e Senaldi per il titolo sessista “Patata bollente” riferito all’ex sindaca di Roma, Virginia Raggi. Non entro nei dettagli legali, mia figlia potrebbe ormai farlo meglio di me. Quello che mi colpì fu l’accostamento tra vita privata e pubblica, con un implicito riferimento alla sessualità, rendendo il titolo evidentemente sessista. Poco prima, ci eravamo già indignati per l’orrida vignetta su Lo stato delle cos(c)e del Fatto Quotidiano, rivolta a Maria Elena Boschi. In quei giorni, molti si unirono nel condannare la volgarità di quelle espressioni.

Sangiuliano – Boccia, la volgarità diffusa e la mancanza di indignazione

Tuttavia, oggi, ciò che mi indigna non è solo la volgarità, ormai diffusa e accettata, ma l’ironia sordida e bigotta sulla sessualità. Eppure, erano battute che facevamo da ragazzi alle medie, non certo in un dibattito pubblico. Sono preoccupato e mi sento solo. Non vedo più quella stessa indignazione di fronte a episodi simili. Quando, recentemente, Polito su Corriere della Sera ha scritto: “Fatti privati e pubbliche virtù. Ora il ministro Sangiuliano deve spiegarci il mistero pompeiano”, o quando Paolo Mieli, a InOnda su La 7, ha definito Maria Rosaria Boccia “una esperta pompeiana”, nessuno in studio – nemmeno Marianna Aprile e Luca Telese – ha sentito il bisogno di correggerlo. Se anche i campioni del garantismo e del rispetto scivolano in queste battute (neppure troppo velate), il tessuto civile si sgretola rapidamente.

Le femministe tacciono

Ovviamente, se ho frainteso, mi scuso. Spero di essermi sbagliato, ma temo di no. E mentre rifletto su tutto ciò, mi rendo conto che le nuove e vecchie femministe tacciono, lasciando una donna – piaccia o meno – esposta a un attacco sessista, senza difesa, senza condanne pubbliche. Pochissimi ne hanno parlato. Oggi, ne sono certo, saranno di più quelli che difenderanno la Nutella tradizionale dalla Nutella Vegana, rispetto a quelli che si scandalizzeranno per quanto accaduto. La verità è che a parole, siamo tutti “garantisti”, ma sempre meno, sempre più di rado, sento “parole garantiste”. Anzi, non sento proprio nulla. Non c’è intervento in tv che non inizi con le proverbiali parole: “Io sono e resto garantista e ho piena fiducia nella magistratura”. È diventato quasi un saluto iniziale. Ma dopo, come lo decliniamo il nostro essere garantisti? Sappiamo stare anche dalla parte del torto, in paziente attesa che si affermi una giusta ragione? Al garantismo sta stretta la giacca dell’ipocrisia di chi si dichiara di esserlo ed invece non lo è. Il garantismo non è perdonismo. Il garantismo usa parole dolci, perché sa che, alle volte, nella vita, si è costretti a doversele rimangiare. In questo silenzio, l’unico a farmi compagnia è l’algoritmo di Repubblica, che, sotto l’articolo di Polito, mi suggeriva di leggere, chissà perché: “Siamo tutti un po’ maiali, lo dice la scienza”.