La scultura di una donna in canottiera, nel suo letto, l’espressione preoccupata, riprodotta perfettamente – sembra viva – in ogni dettaglio. Tranne uno: è lunga sei metri e alta tre. È una delle più celebri sculture di Ron Mueck, artista australiano di cui la Triennale di Milano, in collaborazione con Fondation Cartier pour l’art contemporain, propone la prima personale in Italia, aperta fino al 10 marzo 2024. Una selezione di opere dell’artista, tra cui alcuni lavori mai esposti prima in Italia e soprattutto la monumentale installazione “Mass”, un cumulo di teschi bianchi dalle misure spettacolari, realizzata nel 2017 e mai uscita dall’Australia prima di ora, consente di approfondire il lavoro straordinario di Mueck, che propone, quasi costringe a, una riflessione sulla realtà grazie alla particolare tecnica che utilizza per realizzare le sue sculture. Mueck è un esponente di quello che viene definito iperrealismo, anche se nel suo caso la perfetta riproduzione della realtà, che arriva a comprendere materiali naturali autentici come capelli o bastoni, è mediata dalla variazione delle dimensioni.

I suoi lavori sono infatti sempre più grandi o più piccoli del reale: un elemento che sembra banale ma non è. In questo modo infatti l’artista crea un effetto di straniamento nella già straniante osservazione di corpi e animali eccezionalmente mimetici e vicini al vero. Un neonato gigantesco o, come quello in mostra, più piccolo e appeso alla parete, la donna che trasporta una fascina di legni, piegata dallo sforzo, impeccabile in ogni particolare ma realizzata in dimensioni inferiori al vero, la rende al tempo stesso vera e simbolica, ideale e contingente.

Il lavoro di Mueck, come spesso accade nell’arte contemporanea, assume quindi una valenza filosofica, diventando paradigma del modo in cui percepiamo la realtà, di come la assorbiamo e valutiamo, e del valore che assumono quelli che abitualmente consideriamo (o meglio non consideriamo) dettagli. Statue di grandi dimensioni non sono certo una novità: ma abbinate a una riproduzione realistica così raffinata, oltretutto di persone e situazioni comuni e non di condottieri o personaggi celebri, rende queste opere affascinanti, al limite anche disturbanti, ma sempre coinvolgenti. Il suo lavoro scatena inevitabilmente una reazione forte: dall’umanesimo siamo abituati a sentirci misura del mondo in cui viviamo, diventato sempre più a nostra dimensione, soprattutto di recente. Le misure sono standardizzate, e anche ciò che è grande in realtà è costruito per moduli replicabili, comprensibile, logico. Affrontare una scultura che modifica questa standardizzazione della vita – che poi diventa anche standardizzazione del pensiero – è sorprendente, sfidante. L’incongruità tra le dimensioni e l’estrema verosimiglianza è percepita in maniera sottocutanea, lasciando smarriti e costretti a interrogarsi.

Per costruire le sue sculture, l’artista impiega moltissimo tempo, a volte addirittura anni: per questo i suoi lavori sono in numero contenuto – meno di una cinquantina. Tra i sei lavori in mostra, i più recenti raccontano l’evoluzione del lavoro di Ron Mueck in corso, maggiormente indirizzato alla rappresentazione del collettivo anziché del singolo individuo. In particolare Mass (2017) è una montagna di cento teschi di grandi dimensioni, disposti in dialogo con lo spazio espositivo: già il titolo rivela l’ambiguità di lettura dell’opera, perché il termine inglese significa sia “ammasso” che “messa”. Come ha spiegato lo stesso artista: «Allo stesso tempo familiare ed esotico, il teschio disgusta e affascina contemporaneamente. È impossibile da ignorare, richiede la nostra attenzione a un livello subconscio». Parole indicative della sua filosofia, con cui leggere anche tutti gli altri lavori, tra cui in particolare “This little Piggy” (2023 – in corso) opera per la prima volta esposta mentre è ancora in via di realizzazione, in cui è riprodotto un gruppo di persone impegnate in una macellazione: un momento drammatico in cui l’energia degli uomini contrasta con l’azione che porta alla morte, all’immobilità.