Far quadrare i conti della legge di bilancio grazie, anche, a sanatorie sul rientro di capitali dall’estero e nuove entrate grazie a condoni. È un percorso obbligato quello del governo che vede con preoccupazione il conto alla rovescia per presentare la manovra. La coperta è corta: i soldi sono pochi e le promesse elettorali troppe. Qualcosa deve saltare. Gli umori degli elettori di destra-centro si muovono tra speranze e scetticismo. La premier, seppure continui a parlare di governo di legislatura e di obiettivi da “spalmare in cinque anni”, sa che questa è per lei la vera prova del nove. Rispetto agli elettori. E rispetto alla sua maggioranza. Il vicepremier Salvini è in deficit di visibilità e di consenso. L’operazione sulle ong non ha dato i risultati di consenso e operativi sperati. E, nell’insieme, Meloni continua a essere il punto di forza della litigiosa maggioranza. Forza Italia non se ne parla: ha perso un paio di punti in un mese circa di governo.

Un esecutivo monocolore Fratelli d’Italia non piace né a Salvini né a Berlusconi. In tutto questo la bocciatura dell’aumento del tetto del contante da mille a cinquemila euro non ha aiutato l’umore della maggioranza. La misura era stata strombazzata e anticipata nel decreto Aiuti 4 sempre ai fini di quel consenso di cui è in cerca soprattutto la Lega. Il Quirinale però ha fatto capire che non si può: i decreti devono rispondere a criteri di necessità e urgenza e nessuno del Mef ha saputo spiegare quale fosse l’urgenza di aumentare il contante. Ennesimo buco nell’acqua dettato dalla fretta di fare e apparire. Salvini ha subito tranquillizzato via social: “Il tetto al contante sarà alzato dal primo gennaio”. E per aumentare il carico ha anticipato, ancora una volta, che nella legge di bilancio ci sarà anche il Ponte sullo Stretto: «Si può fare e si farà. Perché serve. A Berlino come a Milano». Nella legge di bilancio sarà prevista in realtà solo la riattivazione della Società Stretto di Messina Spa, l’azienda, partecipata da Rfi, Anas, Regione Calabria e Regione Sicilia chiusa nel 2013 dopo anni di progetti e studi di fattibilità. Il che non significa esattamente aprire il cantiere del Ponte sullo Stretto.

Chiuso l’intenso tour di accreditamento internazionale, la premier Giorgia Meloni è tornata a Roma e, giusto il tempo di fare la pace con il jet lag, ha dovuto mettere la testa sul dossier più delicato. E più atteso: la legge di bilancio. Palazzo Chigi ha deciso di non rinviare più la presentazione anche perché Bruxelles ha condonato già un paio di settimane, fino al 20 novembre, per dare tempo al nuovo governo di mettere occhi e testa sul dossier. Aspettare oltre non sarebbe possibile. Dunque già lunedì pomeriggio il Consiglio dei ministri dovrebbe essere convocato per presentare e approvare la manovra. Al massimo si potrà arrivare a martedì ma il tempo è veramente scaduto. Il valore della manovra è salito, come prevedibile. Dai 30 miliardi iniziali, siamo già intorno ai 35-37. Non potrebbe essere diversamente visto che almeno venti di questi miliardi saranno tutti destinati a combattere il caro bollette: la tendenza del caro energia tende ad essere stazionaria ma gli aumenti consolidati restano comunque insostenibili per le famiglie e per le imprese. Confconsumatori ha calcolato un aumento medio nell’anno di circa 7-800 euro. Confindustria ha stimato che la manifattura nel 2022 pagherà una bolletta di 110 miliardi contro gli 8 del 2019.

I 21 miliardi “presi” a debito saranno quindi “tutti destinati a combattere il prezzo dell’energia” ha promesso la premier quando Bruxelles ha dato l’ok ad aumentare il deficit di un punto fino al 4,5%. Dieci miliardi però non bastano per i capitoli di spesa “fissi” che sono in realtà il mantenimento delle misure del governo Draghi: il taglio di 2 punti del cuneo fiscale per i rediti fino a 35 mila euro; le misure per tenere sotto i due euro il costo della benzina e del gasolio e quindi accise e iva; il credito d’imposta per le imprese per fronteggiare appunto il costo delle bollette. Insomma, 30 miliardi non bastano. Ne servono almeno 35. Il problema è che non è ancora chiaro dove prenderli. Quattro-cinque dovrebbero arrivare da fondi europei dedicati al caro energia (il fondo Repower Eu), il loro utilizzo è però bloccato per determinate voci. L’esecutivo sta ragionando sulla possibilità di una sanatoria per il rientro dei capitali all’estero, che potrebbe portare nelle casse dello Stato altri 3-5 miliardi, secondo le prime ipotesi di stima.

Un po’ meno di due miliardi dovrebbe arrivare dalla rottamazione delle cartelle esattoriali: di fronte alla cancellazione totale di quelle sotto i mille euro, lo Stato si accontenta del 50% per quelle sotto i tremila euro, di una mini multa pari al 5% sui debiti del biennio 2019-2020 e ipotizza la rateizzazione dei pagamenti fiscali non effettuati per un totale al di sotto dei mille euro. Ancora la via del condono, quindi. Come per il rientro dei patrimoni dall’estero. Un miliardo dovrebbe arrivare dalla revisione del reddito di cittadinanza. Molto di più dalla norma sugli extraprofitti delle aziende del comparto energia che, una volta riscritta per essere effettiva, dovrebbe passare dall’attuale 25% al 33%. Altri soldi devono arrivare dalla modifica al super bonus edilizio che passa dal 110% al 90%. Le associazioni di categoria sono sul piede di guerra. Il ministro Giorgetti non intende retrocedere: «Quella norma è la più grande truffa ai danni dello Stato e in favore dell’1,5 della popolazione».

La voce entrata resta al momento troppo sbilanciata rispetto a quella delle uscite. Che sono tante. Ci sono le spese indifferibili, dalle missioni militari alle pensioni. Confermata per certo Opzione Donna, prende piede Quota 102, 62 anni e 40 di contributi anche se Salvini punta su Quota 103. E ci sono le promesse da mantenere. Almeno qualcuna. Oltre al cuneo fiscale (3-4 miliardi) si parla della flat tax del 15% per i ricavi entro gli 85 mila euro. Sarebbe il minimo sindacale rispetto al programma del destra centro. Ma al momento i soldi non bastano neppure per questo.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.