È allarme chiusura aziende, rischio perdita lavoro, aumento inflazione, caro bollette. Il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli ha lanciato pesanti anticipazioni sulla vita imprenditoriale delle pmi. Ma poche settimane fa l’AGI aveva riportato che il prezzo del pane nell’Ue, ad agosto, è stato il 18% più caro rispetto all’anno prima. In Italia, l’aumento è stato del 13,5%, evidenziando che questo è dovuto in particolare all’invasione russa dell’Ucraina, che ha disturbato in modo significativo i mercati globali, dal momento che la Russia e l’Ucraina sono stati grandi esportatori di cereali, grano, mais, semi oleosi e fertilizzanti.

Da anni ormai sono impegnato nella gestione e nella produzione di prodotti da forno. Un settore già messo in crisi da qualche decina di anni da un abbassamento dei livelli di vendita, per lo più legati a cambiati usi alimentari e a qualità del prodotto sempre più scarsa, da un abbandono generalizzato del settore artigianale, da guerre inopportune contro i colossi della GDO. Il tutto con buona pace di piccole realtà virtuose italiane che hanno investito in formazione e scelta accurata delle materie prime e dei metodi di lavorazione. Una analisi più concreta delle pressioni esterne che incidono su aumenti mal sopportati dal cliente finale – che reputa il pane un prodotto di largo consumo e quindi povero – mette chiaramente in evidenza che a gravare enormemente sul costo finale, invece che l’aumento del costo delle materie prime, che pur hanno subito un aumento variabile tra il 30 ed il 50%, sono i costi di gestione di un laboratorio di produzione.

L’annosa questione del “peso” stipendiale e contributivo, al netto delle agevolazioni presenti, sta finendo, nella migliore delle ipotesi, per incidere profondamente sulle tipologie contrattuali; più spesso sulla limitazione del numero dei dipendenti con conseguente impoverimento, quantitativo e/o qualitativo, della produzione. Una spirale che porta all’anticamera della chiusura. La contingente crisi energetica invece è la mazzata finale che sta impatterà in maniera massiccia su strutture che devono il destino della propria produzione a strumenti che inevitabilmente usano gas o energia elettrica per il loro funzionamento.

L’esperienza personale è di costi utenze che sono aumentati del 120-150% in generale, ma se analizzate singolarmente si arriva anche ad aumenti che si attestano intorno al 350-400%. Conti alla mano, percento in più o meno, il costo dei dipendenti incide per il 40-45% sul costo di produzione. Quello delle utenze sta salendo e oggi si pone tra il 25 e 30%. Gli ammortamenti, gli altri costi fissi (o comunque di gestione) erodono abbondantemente un 15%. La rimanente quota, presupposta ma non certa marginalità, finisce per essere un patrimonio estremamente esiguo per il mantenimento e la sopravvivenza di queste aziende, anche e soprattutto nell’ottica di un ulteriore inasprimento delle attuali e già precarie situazioni.

E l’aumento attuale del prezzo del pane, che si aggira intorno al 10%, è praticamente irrisorio e inefficace per contrastare gli aumenti in atto. Superare questo scoglio, per aziende che hanno così basso margine tampone, è davvero difficile. Nell’immediato occorrono interventi mirati alle imprese sull’alleggerimento del costo delle bollette e interventi mirati e più robusti sul cuneo fiscale e contributivo, detassando gli aumenti dei rinnovi contrattuali e rafforzando le misure in tema di credito alle imprese.