Toccava a lei ingranare la retromarcia. Ci sono regole fondamentali della politica diplomatica che un capo di governo non può ignorare. Ma Giorgia Meloni non l’ha capito. O non l’ha fatto. E invece di provare a sgonfiare la mongolfiera della suscettibilità francese ferita nella gestione scriteriata e illegale italiana del primo soccorso ai naufraghi rimasti fino a ieri mattina a bordo della nave finlandese Ocean viking, Giorgia Meloni l’ha alimentata di nuovi e inutili sgarbi.

I naufraghi in acqua da 21 giorni dopo essere stati rimbalzati dai porti italiani hanno chiesto attracco di emergenza alla Francia che li ha fatti scendere ieri tutti a Tolone. Lì presenteranno tutti richiesta d’asilo. Un terzo di loro andrà in Germania, altri altrove secondo un sistema di smistamento accordato con fatica dall’ex presidente del consiglio Mario Draghi nel giugno scorso con vari Paesi europei. Accordo che il governo francese ha detto ieri di voler stracciare come stizzita rappresaglia invitando gli altri, Germania per prima, a fare altrettanto. Vuol dire per l’Italia isolamento internazionale. Vuol dire per Giorgia Meloni grandi rogne a Bruxelles. Vuol dire per lei (e per noi) cominciare con Visegrad invece che a Parigi. Con toni e modi tutti sbagliati, la presidente del consiglio ha gestito in conferenza stampa le domande sull’argomento come un’agitata segretaria di un circolo di attivisti del suo partito forse avrebbe fatto.

Che senso ha dire dalla presidenza del Consiglio: “Quando si parla di ritorsioni in un dinamica Ue qualcosa non funziona. Sono rimasta molto colpita dalla reazione aggressiva del governo francese, incomprensibile e ingiustificabile”? Serve solo a farsi rispondere, peraltro non dal presidente di Francia ma dalla segretaria di Stato francese agli Affari Ue, quella stessa Laurence Boone che arrogò al suo Paese la funzione di “vigilare sui diritti in Italia”, che Roma “si era impegnata nel meccanismo di solidarietà Ue” e che “i trattati si applicano al di là della vita di un governo, altrimenti se dovessimo cambiare ogni volta le regole sarebbe insostenibile. Il governo italiano attuale non ha rispettato il meccanismo per il quale si era impegnato e si è rotta la fiducia. Credo lo si possa dire, perché c’è stata una decisione unilaterale che ha messo vite in pericolo e che, del resto, non è conforme al diritto internazionale”.

Ecco a che servono le smargiassate in conferenza stampa. A non cavare un ragno dal buco. A ottenere risposte cortesi ma fredde dalla Germania, scudisciate dalla Spagna. A bruciarsi i pochi palcoscenici disponibili in Europa per poi aspettare il soccorso del Quirinale che, si fa capire dal Colle, ci sarà anche stavolta. Ma sarà l’ultima. A Mattarella non è piaciuto ritrovarsi a dover mettere lui una pezza con Parigi come già gli toccò dopo che Di Maio e Di Battista andarono a manifestare accanto ai Gilet gialli in Francia contro Macron. Quando ancora, almeno in macchina, andavano insieme. L’Eliseo, stretto sul tema migranti tra la destra di Marine Le Pen e la sinistra di Melenchon che sulla crisi della Ocean Viking si sono immediatamente tuffate per mettere in difficoltà il presidente, sta giocando una partita con Roma e, soprattutto, dentro il governo francese.

Da una parte s’è indispettito al punto da prendere l’iniziativa di proporre una misura aggressiva dei paesi europei contro il governo Meloni, dall’altra s’è ritrovato catapultato dentro una crisi non cercata e creata da qualcuno che al ministero degli interni ha forzato la mano ed è riuscito a far trovare Macron davanti al fatto compiuto. Quando è partita la richiesta di porto sicuro alla Francia dall’Ocean Viking (dopo una quarantina mai risposte all’Italia, e da qui l’accusa di “disumanità” contro di noi espressa dal portavoce del governo francese) non ha annunciato l’Eliseo pubblicamente la notizia della concessione del porto di Marsiglia. No. Occhio! È stata una voce del ministero degli interni francese. All’Ansa. Da lì è uscita la notizia, un’ora dopo un messaggio social di Salvini ha celebrato l’annuncio come fosse un cedimento di Parigi (“l’aria è cambiata” ha scritto Salvini) e solo sette/otto ore dopo è arrivata la nota di palazzo Chigi che, se voleva essere una toppa, è da spedire a un chioschetto chi l’ha scritta (Ostia va bene) perché quanto a tono scioccamente irritante è stata molto, ma molto peggio del buco.

A Sharm el-Sheikh lunedì fra i molti incontri a due a margine della conferenza Cop27, Goirgia Meloni ha incontrato per pochi minuti Emmanuel Macron. Secondo una versione circolata via palazzo Chigi il presidente francese nel corso del faccia a faccia avrebbe dato una disponibilità di massima a fare sbarcare in Francia i profughi soccorsi dalla Ocean Viking. Quando esce la notizia dell’Ansa su Marsiglia la Ocean Viking si trova a Catania. A indicare questa svolta è, come ricordato, una fonte del ministero dell’Interno francese. Matteo Salvini commenta: “La Francia apre il porto? Bene così, l’aria è cambiata”. Intanto Giorgia Meloni è tornata in Italia, ma sta zitta. A sera uscirà con un documento in cui esprime “sentito apprezzamento per la decisione della Francia di condividere la responsabilità dell’emergenza migratoria fino a oggi sulle spalle dell’Italia e di pochi altri stati del Mediterraneo, aprendo i porti alla nave Ocean Viking…”.

Quale è il problema? Giorgia Meloni non sa come muoversi in Europa? O non sa gestire Matteo Salvini? O non vuole farlo e le va benissimo fare con lui il duetto voce grossa voce mite e gli lascia creare crisi perché per la propaganda interna puó servire? Altrimenti, per renderlo iniofensivo, basterebbe redarguirlo come ha fatto con la senatrice Ronzulli e ha provato a fare con l’altro alleato Silvio Berlusconi. Basterebbe dire che la comunicazione sugli atti del governo spetta a Palazzo Chigi e che il ministro delle Infrastrutture, Salvini Matteo, è pregato di aprire bocca soltanto se interpellato. Ma Giorgia Meloni non lo fa. Entra quindi il fantasma di scena Sergio Mattarella che dal suo viaggio nei Paesi bassi interviene. Infastidito, molto infastidito. Alle parole del suo faccia a faccia con l’ospite Rutte, il cattivissimo capo dei paesi detti frugali, affida con grazia democristiana messaggi a destinatario multiplo: «Le sfide che si affrontano richiedono un impegno comune dell’Unione, non sono sfide che alcun Paese da solo possa risolvere», dice Mattarella, «sono sfide che soltanto l’Europa nel suo complesso può affrontare».

Chi nutre la presunzione di poter fare da sé rischia un tragico buco nell’acqua. Ci vuole concordia, bisogna lavorare per ritrovarla. E ancora: «Occorre essere consapevoli di avere sulle spalle la responsabilità di rendere sempre più l’Unione una vera casa comune, ispirata ai valori su cui si fonda. Non una comunità di meri rapporti economici ma una comunità di valori, di Stato di diritto, di diritti umani». L’Italia non può permettersi il capriccio puerile di isolarsi da Francia e Germania perché ne ha bisogno non solo per le questioni di immigrazione ma anche e soprattutto per gestire quanto più possibile non in solitudine sia la crisi economica che quella energetica. Mattarella se ne è fatto carico. Per capire il perché è utile osservare la durezza del quotidiano dei vescovi ieri mattina su Meloni. Editoriale di Avvenire: “Una “lite infantile”, uno scontro “disumano” sulla pelle dei più deboli.

“Non riguardasse un dramma, una tragica questione di vita e di morte che si consuma quotidianamente nel mare di casa nostra – si legge -, verrebbe da derubricare a lite infantile quella scoppiata tra il nostro governo e l’esecutivo francese”.”In tempi di guerra fratricida in terra d’Europa – aggiunge -, minare le fondamenta della casa comune, con provocazioni sovraniste da un lato e ritorsioni muscolari dall’altro, è miope, politicamente non conveniente per nessuno e disumano per i soggetti deboli presi nel mezzo”. “Profondamente sbagliato e inutilmente crudele – scrive – il comportamento del nostro governo che prima rallenta l’approdo di navi cariche di naufraghi, poi ne autorizza alcune all’ingresso in porto, opera soccorsi selettivi definendo ‘carico residuale’ quelli lasciati a bordo, salvo poi dover prendere atto della realtà che anche questi ultimi sono esseri umani e non una sub-categoria catalogata come ‘migranti’”.