Dimissionario, autosospeso, ex sottosegretario del primo governo Meloni. Tutto è possibile quando c’è di mezzo Vittorio Sgarbi. L’unica certezza è che mentre il caso diventa un giallo e una guerra di carte bollate, al posto del critico d’arte negli uffici di piazza del Collegio romano è pronta ad entrare Ilaria Cavo, deputata in quota Lupi (Noi Moderati) così come anche Sgarbi era in quota ai centristi. Segnale chiaro: la premier Meloni liquida Sgarbi in diretta streaming da Tokyo ma non intende in alcun modo spostare i pesi specifici nella maggioranza. Sfruttare il caso Sgarbi per indebolire qualcuno o rafforzare altri. Saggia decisione ché tanto gli scossoni certo non mancano. Soprattutto quando la premier è in missione all’estero.

La visita di Stato in Giappone per il passaggio di consegne della presidenza del G7 è stata offuscata dai trattori degli agricoltori che puntano sulla Capitale (ma come, proprio la categoria a cui il ministro Lollobrigida dice di dare e continuare a dare di più) e dallo Sgarbi-gate. Che la premier è convinta di aver chiuso. “Accetto le sue dimissioni”, dice in un punto stampa da Tokyo, tra il bilaterale con il premier Fumio Kishida e la cena con i ceo dei maggiori gruppi industriali. “Prima di decidere – ha spiegato la premier che molto volentieri non avrebbe parlato anche in Giappone di Sgarbi e dei trattori – io stessa ho atteso di avere motivazioni oggettive (le 60 pagine della pronuncia dell’Antitrust, ndr) e oggi la sua decisione mi sembra corretta. Aspetto di incontrarlo a Roma per accogliere quindi le sue dimissioni”. L’espressione degli occhi e della voce sembrano lapidarie.

Dossier Sgarbi chiuso. Almeno quello, visto che ne restano in piedi ancora molti altri. Solo per restare alla squadra di governo, le indagini sulla ministra Santanchè per il fallimento di alcune sue società tra cui Visibilia e il rinvio a giudizio del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro per violazione di segreto, con l’aggravante di essere un membro del governo, sul caso Cospito. Delmastro, che poi deve ancora chiarire l’ultimo dell’anno, il colpo di arma da fuoco e il ruolo del suo caposcorta (trasferito).
Ma se tra i templi, la neve e l’accoglienza “imperiale” del premier nipponico, sembra tutto risolto e lontano, la faccenda Sgarbi potrebbe complicarsi. Perché tra il dire e il non dire andato in scena tra domenica e lunedì mattina – “sto scrivendo la lettera”, “non l’ho ancora consegnata”, “forse è meglio aspettare il ricorso al Tar perché le dimissioni potrebbe ostacolarne l’iter”, “dimissioni certe ma al termine di una negoziazione” – fino alla lettera sul Corriera della Sera, la faccenda potrebbe non chiudersi così facilmente.

Nella lettera al Corriere infatti Sgarbi, stupito per i pronunciamento dell’Antitrust circa la sua incompatibilità nel doppio ruolo di critico-storico dell’arte, divulgatore e sottosegretario per evidente conflitto di interessi (“impedire a me di parlare di arte e cultura e pittura è come negarmi l’articolo 21 della Carta, il diritto di parola e di pensiero” ma qui Sgarbi “dimentica” i ricchi compensi) informa la premier della sua duplice intenzione: ricorrere al Tar (cosa che nei fatti potrebbe congelare l’incompatibilità dell’Antitrust); promuovere lui stesso una nuova indagine presso l’Antitrust per sapere quanti altri tra parlamentari e uomini e donne di governo sono nelle sue stesse condizioni.

Rispetto a questo doppio contropiede del sottosegretario, Meloni ha detto stop: “Ho atteso per avere degli elementi oggettivi, mi aspetto che Sgarbi, che ha potuto contare su un governo che attendeva degli elementi oggettivi, non si aspetti che quel governo decida per altri con elementi che non sono oggettivi perché sarebbe un po’ eccessivo”. Ma Sgarbi resta nei fatti “autosospeso” e ha intenzione di rivolgersi all’Antitrust. Dette in altro modo, vuol vendere cara la pelle. “Le mie sono dimissioni certe ma al termine di una negoziazione con la Presidente Meloni”, ha detto ieri in mattinata prima che la premier parlasse dal Giappone.

Al di là del pronunciamento dell’Antitrust, investito del caso per la legge Frattini sul conflitto di interessi, c’è un altro nodo che Sgarbi vuole sciogliere. E lo farà, in un modo o nell’altro, da ex, da dimissionario o da autosospeso. Lo scrive nella lettera al Corriere: “Il governo, per mano di un suo ministro (Sangiuliano, ndr), ha promosso un’indagine sul conflitto di interessi all’interno del governo in base alla lettera anonima di un pregiudicato (Dario Di Caterino, ex collaboratore di Sgarbi allontanato, ndr). Allora è anche giusto che io chieda all’Antitrust di estendere analoga indagine a tutte le istituzioni”.

È questa la trattativa a metà tra la trattativa e il ricatto? Giorni fa Transparency, think tank contro la corruzione, ha pubblicato un report in base al quale sono cento i parlamentari in conflitto di interessi. Fratelli d’Italia, il partito della premier, è in netto vantaggio e ne conta quaranta. La Lega 19, Forza Italia 15. Nelle opposizioni 8 sono nelle file del Pd e quattro nei Cinque stelle. Il fatto è che il quadro generale in cui si muove il sottosegretario “congelato” va ben al di là delle sessanta pagine dell’Antitrust. Sgarbi è indagato a Macerata per il possesso di un quadro di Manetti. L’Antitrust gli contesta compensi per 300mila euro da quando è al governo per lezioni e conferenze. Alcuni suoi ex collaboratori lo accusano di aver ricevuto soldi in contanti, di aver acquistato per 10mila euro un quadro che poi è stato valutato 5 milioni. Un crocevia di accuse che vanno avanti ormai da un mese. E il primo a denunciarlo è stato proprio il suo ministro, quel Sangiuliano con cui i rapporti sono sempre stati tesi.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.