La campagna per l'estradizione
Mettere Pietrostefani in galera oggi sarebbe solo una vendetta
È persino inevitabile. Puntualmente ogni tot di tempo emerge il disastro che è stato fatto non arrivando a una soluzione politica per i cosiddetti “anni di piombo”. Ci troviamo di nuovo in uno di questi momenti perché nei mesi scorsi, sollecitato dalle autorità francesi a loro volta un po’ stufe delle insistenze italiane, il nostro Parlamento aveva ratificato la convenzione di Dublino 1996: in materia di estradizioni non prevale più la legge del Paese che riceve la richiesta ma quella dello Stato che presenta la richiesta. Quindi non conta più che i fatti di 40 anni fa per la Francia sono prescritti. In Italia non lo sono ancora e quindi 14 persone che a Parigi e dintorni si erano rifatte una vita rischiano adesso fortemente di essere imbarcate su un aereo e arrivare a Fiumicino per finire magari immortalati dagli iPhone di qualche ministro della Repubblica, come era accaduto a Cesare Battisti.
E la “nuova” fase era iniziata proprio con la consegna dalla Bolivia all’Italia, in violazione di regole e trattati internazionali, dell’ex militante dei Pac. Perché il presidente Mattarella, quello che insieme al suo predecessore Napolitano non si era fatto scrupolo di graziare quattro agenti della CIA condannati per il sequestro e le torture ai danni di Abu Omar, prometteva: «E adesso gli altri». Così le autorità nostrane tornavano alla carica con i cugini di oltralpe. Riunioni e incontri a livello di servizi segreti e di polizia fino all’esplicito “consiglio” francese: ratificate Dublino 1996 e la risolviamo finalmente. I grandi giornali si accorgevano in ritardo della novità giuridica e con determinazione andavano all’attacco. Ora è il turno di Repubblica, un quotidiano che è sempre stato tra i più ostili a una soluzione politica dal momento che fu tra i tifosi più accaniti dello stato di eccezione praticato senza dichiararlo formalmente.
Repubblica ha avviato una vera e propria campagna affinché questi settantenni, alcuni dei quali vicini agli ottanta, tornino «a saldare i loro conti» con la giustizia dell’emergenza. Della madre di tutte le emergenze. Iniziò allora la fine dello stato di diritto proseguita poi con i professionisti dell’antimafia di sciasciana memoria e la farsa di Mani pulite. Una soluzione politica per quei fatti che ora tornano di moda appare purtroppo sempre più lontana, molto di più di quando poteva essere trovata. Il clima politico non è favorevole. Anzi. Ma che giustizia è mettere in galera, tanto per fare, un nome Giorgio Pietrostefani a quasi 50 anni dal delitto Calabresi per il quale è stato condannato? È la vendetta di una politica che non ha mai voluto fare i conti con il passato per evitare che emergessero anche le sue responsabilità e quelle dello Stato davanti a una sovversione interna la cui risoluzione fu interamente delegata alla magistratura.
Furono approvate leggi premiali imposte dalle toghe che fanno danni ancora oggi e che sono paradossalmente servite ai magistrati per aumentare il loro potere di casta nei confronti della politica. Ma il sistema paese sembra pronto a celebrare il ritorno in Italia e l’ingresso nelle celle di 14 anziani alcuni malandati di salute come una vittoria della democrazia.
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