Il primo gennaio è entrata in vigore la nuova norma sulla prescrizione voluta dal precedente governo gialloverde. Come noto, il Partito democratico avrebbe preferito che quel termine fosse posticipato, almeno a fino a quando fosse stata approvata una seria ed efficace riforma complessiva della giustizia. La ostinata indisponibilità mostrata sul punto dal ministro non lo ha consentito. Prendiamo atto, ma ora è il tempo di cambiare spartito.
Non intendo tornare sul merito delle questioni sul tappeto, su cui oramai siamo intervenuti decine di volte. Mi limito a ricordare che tre gruppi su quattro della maggioranza, unitamente a oltre 150 professori di diritto e procedura penale, alle Camere penali, a magistrati del calibro di Armando Spataro o Raffaele Cantone o Catello Maresca, per citarne solo alcuni, al procuratore generale presso la corte di cassazione Giovanni Salvi, sono molto preoccupati per i rischi che quella riforma porta con sé, e in particolare quelli di un allungamento dei tempi dei processi che sarebbe lesivo di molti principi costituzionali, il primo dei quali quello della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 della costituzione.
Hanno tutti torto, sono tutti presi da un abbaglio, come sostiene il ministro? Può darsi. Ma può anche darsi (e forse è più probabile) che non sia così. Ma al punto in cui siamo arrivati, vorrei dire che conta poco chi ha torto o chi ha ragione. Il punto vero è che quando capita, come in questo caso, di avere opinioni diverse, si cerca un punto di incontro. E quando questo accade nella vita pubblica si chiama fare politica.
Ecco, è il tempo di tornare alla politica. Il Partito democratico ha dimostrato in questi ultimi mesi, sulla questione in gioco, una lealtà e una disponibilità non comuni, che qualcuno ha prontamente scambiato per subalternità, arrendevolezza o, peggio, attaccamento alla poltrona. A me piace definirla senso di responsabilità, capacità di soppesare con equilibrio i problemi, di collocarli dentro una prospettiva più ampia, di non cedere al ricatto dell’emotività, di farsi carico delle conseguenze.
Ma pensare di scambiare il senso di responsabilità del Partito democratico per una disponibilità ad abdicare alle proprie convinzioni sarebbe altrettanto miope, e pericoloso. Non è pensabile di trascinare ancora una vicenda che è già stata stressata oltre misura, e che pesa nei rapporti interni alla maggioranza.
Tra pochi giorni arriverà in aula la proposta delle opposizioni di ripristino della riforma Orlando, ci sarà poi la proposta del Partito democratico di modifica della prescrizione, e arriverà prima o poi in commissione e in Parlamento la riforma della giustizia.
Davvero il ministro della Giustizia pensa di affrontare quei passaggi parlamentari senza un previo accordo che metta armonia sul punto dentro la maggioranza di governo? Davvero si pensa di poter procedere come fatto finora, mettendo le forze di maggioranza dissenzienti di fronte al fatto compiuto? Mi rifiuto di crederlo, sarebbe una scelta irresponsabile e gravida di conseguenze, comprensibile solo se il vero disegno, occulto e non detto, fosse quello di destabilizzare la maggioranza.
Il Partito democratico è pronto, da sempre, a un confronto aperto e leale con il ministro per cercare le soluzioni praticabili al fine di scongiurare i rischi che la riforma della prescrizione innesca. Noi abbiamo presentato una proposta di legge che riteniamo esaustiva ed efficace, ma sappiamo bene che ci sono molte altre possibilità, non una soltanto, per intervenire in modo puntuale e soddisfacente per tutti.
Bene, lo si faccia: ma il tempo è ora, non c’è più margine per tergiversare o attendere.
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