Nel suo giro di boa e seconda settimana di programmazione, la 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma si dedica a una rockstar ante litteram, un rebel without a cause della storia artistica italiana, Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio. A questa figura di rottura nel panorama dell’arte mondiale, Michele Placido ha dedicato quattro anni del suo lavoro e il suo quattordicesimo film da regista, L’Ombra di Caravaggio, presentato nella sezione Grand Public.

Coproduzione Italia-Francia e con Riccardo Scamarcio nel ruolo del pittore, il film vanta la collaborazione di un cast composto da attori del calibro di Micaela Ramazzotti per il nostro Paese e Isabelle Huppert e Louis Garrel per la quota d’Oltralpe. Ambientato nell’Italia del 1600 in cui il Concilio di Trento dettava le regole sull’arte sacra, Placido racconta di un Caravaggio sovversivo e geniale che viene messo sotto controllo da un agente segreto (Garrel), incaricato dal Papa Paolo V di indagare sul pittore, il suo essere meritevole della grazia per aver ucciso un rivale in amore e sulla “correttezza” delle sue opere. Louis Garrel diretto da Placido diventa l’Ombra del titolo, osservatore e giudice. «Sapeva a memoria la Bibbia – racconta Placido – e a Roma ha incontrato prostitute, ladri, malfattori. Quello che a me interessava non era fare un film sull’estetica caravaggesca ma capire chi erano quelle persone, quelle prostitute che, grazie ai quadri del pittore, stavano nelle grandi chiese romane. Il percorso di Caravaggio ci ha ricordato quello di Pasolini con i suoi personaggi dalle periferie romane.  Il suo grande misticismo era la sua formula vincente, era un credente».

Ha respirato la passione per questo progetto Riccardo Scamarcio che ha fatto suo questo personaggio storico e ha sposato la visione del suo regista: «Ho parlato con Michele due anni prima di cominciare le riprese del film e ho visto che negli occhi aveva una febbre, un’urgenza di fare questo film e ho capito perché. Questa figura è stata osteggiata, pur avendo rivoluzionato la pittura dal punto di vista estetico. Per tantissimi anni i suoi quadri non gli sono stati attribuiti. 250 anni di oppressione oltre al fatto che gli hanno fatto fare una brutta fine. Ho pensato che fosse come Elvis Presley, il mio Caravaggio è un po’ un provinciale che si trova ad avere un’energia, uno slancio umano e vitale che rompe i canoni conformisti della società».

Caravaggio è dunque stato un personaggio che dalla rappresentazione di Placido, potremmo considerare pienamente contemporaneo e fluido, a detta di Scamarcio «un uomo eclettico che spaziava tra i gusti sessuali, che si innamorava delle persone al di là della sessualità e che ha reso protagonisti dei suoi quadri persone ai margini della società». Tra le muse del Caravaggio c’è stata Lena, dama di compagnia mercenaria che il pittore incontrò sul suo cammino e rese immortale raffigurandola. Per Placido ha il volto e la malinconia di Micaela Ramazzotti: «Ho sempre amato questo artista che aveva già in mente la messa in scena teatrale, come muovere i personaggi all’interno di un’inquadratura e poi il suo guardare gli altri con curiosità, perché tutta la gente che incontrava, miserabili, clochard, prostitute, li faceva diventare santi, dava loro una doppia faccia poiché si muoveva tra il sacro e il profano».

Se L’Ombra di Caravaggio è anche il film che ha visto recitare insieme Isabelle Huppert e sua figlia Lolita Chammah, anche la ventesima edizione di Alice nella Città, sezione indipendente della Festa, ci mette il suo carico quanto a famiglie d’arte. Con Signs of love, opera prima di Clarence Fuller cala una tripletta: Dylan e Hopper Penn, figli di Sean Penn e Robin Wright e Zoë Bleu, figlia di Rosanna Arquette (anche nel cast del film) e quindi discendente di una lunga stirpe di divi. Fuller non ci pensa troppo e assolda i fratelli Penn nello stesso ruolo che hanno nella vita, con la libertà di improvvisare pur all’interno di un contesto, quello di due ragazzi cresciuti nell’ombra della tossicodipendenza del padre, apparentemente diverso dalla loro realtà.

A Bleu invece il ruolo di una ragazza sorda, di cui Frankie (Hopper Penn) si innamora e grazie alla quale cresce. Un racconto di formazione tardivo, quello messo in scena in Signs of Love, il percorso di un ragazzo, cresciuto troppo presto, costretto a fare da padre al figlio della sorella e immischiato in un giro di spaccio. All’inevitabile domanda rivolta a Zoë Bleu e Hopper Penn su gioie e dolori del provenire da una famiglia di attori (Dylan Penn esonerata perché presente solo alle attività pomeridiane), arrivano delle risposte sincere e non scontate: «Non ho mai voluto fare l’attore – esordisce Hopper – perché entrambi i miei genitori lo sono. Ho quindi preparato pizze per sei anni ma venivo pagato 11 euro all’ora e non era proprio il mio ideale. A quel punto era meglio fare l’attore».

Aggiunge poi: «A dir la verità, da un lato, per il fatto di vivere in una famiglia di attori, è come se ciò che faccio adesso mi fosse stato un po’ consegnato ma magari il fatto che io non stia facendo bene come i miei genitori, mi permette di non essere paragonato a loro. Mi piace farlo però, quindi se a voi non piace come recito, mi dispiace per voi». Più celebrativa della sua famiglia è invece la risposta della discendente Arquette, Zoë Bleu: «È un privilegio venire da una famiglia come la mia. Ho imparato tantissimo sull’arte, la storia, il teatro e la musica perché sono cresciuta in questo circo ma ha anche i suoi aspetti spaventosi. Per un sacco di tempo non ho voluto recitare per non essere paragonata alle star nella mia famiglia. Sono arrivata ad un punto poi, anche grazie a Clarence Fuller e il produttore David Michaels, in cui ho capito che mi piace farlo e sono molto fortunata ad avere il supporto della mia famiglia. Adoro essere unica».