Ambrogio
Milano, il balletto dei nomi per il nuovo sindaco
Davanti ad una metropoli che getta in faccia alla politica il risultato di autocompiacimenti e mancanze di visione critica che assume la forma emergenziale del rapporto tra redditi e costo della vita, apparirebbe quasi fuori luogo il dibattito sulle possibili candidature per la futura elezione del sindaco. Eppure, a ben vedere, c’è un senso che forse nemmeno chi si sta producendo nei primi tatticismi ha immaginato: perché proprio da come i partiti si preparano a presentarsi al voto si può intuire quanto davvero si stiano rendendo conto dell’urgenze di dare risposte concrete.
Se a emergere sono i giochi sugli equilibri interni agli schieramenti, le valutazioni di distribuzione di potere che rendano magari Milano merce di scambio da barattare con altre città, vuol dire che non si è capito nulla. Se a condizionare sono gli orgogli di identità, le marchiature ideologiche, vuol dire che si è capito ancora meno. Si dimostra di aver capito se si tiene presente che Milano non può aspettare un voto e non può nel frattempo rischiare di perdere velocità nel percorso che la deve vedere città innovatrice, attraente, visionari e solida al tempo stesso.
Se qualcuno comincia a fare nomi, non si può fingere che non significhi nulla, ma anche il rumor, perfino la provocazione deve tenere presente che non è lecito fare esercizi astratti, mentre è la stessa metropoli italiana che sta dettando l’agenda di qualsiasi campagna elettorale.
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