Europa
Mistero Fitto, Meloni incalza Schlein sul commissario. Ppe-S&D, aria da resa dei conti
Il caso Fitto scuote l’Europa. Non solo perché si tratta di un candidato designato da un paese fondatore come l’Italia (e di conseguenza una bocciatura scatenerebbe una reazione politica, che in quel caso il governo italiano sarebbe obbligato a sostenere con vigore), ma anche perché sull’ex governatore della Puglia si giocano più partite. Sul suo nome combaciano diverse strategie che guardano al presente e al futuro (soprattutto) dell’Unione europea. Non a caso ieri il presidente Mattarella lo ha ricevuto al Quirinale e gli ha formulato gli auguri per l’affidamento dell’incarico «così importante per l’Italia».
L’Europa cambia
L’Europa che a giugno è uscita dalle urne non è più quella di cinque anni fa: sette milioni di europei si sono spostati da posizioni moderate o di sinistra a posizioni di ultradestra. Gli equilibri sono cambiati, nonostante la volontà del partito popolare alla fine sia stata quella di rieditare la medesima maggioranza “Ursula”, forte dell’indiscusso successo di giugno, con i conseguenti terremoti politici a carattere nazionale che abbiamo osservato negli ultimi mesi. Il Ppe doveva scegliere tra l’aritmetica e la politica. Alla fine ha scelto l’aritmetica, cercando sì l’accordo con socialisti e liberali ma questa volta tenendo aperta una porta ai conservatori. Porta che le sinistre hanno mal digerito e che i popolari hanno seguitato a sostenere capendo che – per quanto la politica si fondi sul “compromesso” – da una parte non è possibile tenere fuori l’Italia per compiacere dei partner che in fin dei conti sono stati sconfitti alle elezioni europee, dall’altro il loro programma politico è quanto di più lontano e distante vi sia da quello di socialisti e verdi.
La strada subito in salita
La stessa campagna elettorale condotta dai popolari è stata durissima sul Green Deal e sul tema migratorio, portando anche a un cambiamento nell’ultimo solco della legislatura: sui temi caldi e “ideologici” è comparsa una maggioranza alternativa formata da popolari, conservatori e dal gruppo Identità e Democrazia (oggi Patrioti) che ha affossato numerose proposte avanzate dai socialisti e dai verdi. La strada dopo il voto è stata subito in salita, anche per via di quell’effetto domino che ha parzialmente riscritto la geografia politica mettendo all’angolo le sinistre, sconfitte proprio sui temi a loro più cari che con un peso (e di conseguenza un potere contrattuale) maggiore avevano imposto nell’accordo di governo per la prima commissione a guida von der Leyen.
Questa volta di compromessi i popolari ne hanno accettati ben pochi e i nomi scelti fanno comprendere la sottolineatura di una “vittoria” rivendicata da Weber e soci. Che sui nomi extra Ppe a destra potessero scontrarsi veti e contro-veti è cosa nota, come la chiusura ideologica verso qualsiasi componente del gruppo conservatore. Diverso è l’atteggiamento di carattere politico che generalmente accomuna i partiti sulla difesa condivisa di un nome che, seppur di una famiglia politica differente, è sempre il nome scelto dal governo della propria nazione. E dunque dovrebbe portare al superamento dei veti, per puro spirito nazionale.
La pazienza dei popolari ha un limite
Ma la decisione del Partito democratico di allinearsi ai socialisti sul “no” a Fitto apre la prima crepa. La seconda viene dalla Spagna, dove la conflittualità politica è in una fase radicale in continuo crescendo, con la contrapposizione tra Partito popolare e socialisti sempre più dura. I popolari spagnoli meditavano una vendetta sulla ministra alla Transizione ecologica del governo Sánchez, Teresa Ribera, che sarà chiamata a rispondere del disastro di Valencia alle Cortes. Gli spagnoli del Ppe non hanno intenzione di cedere sul punto e di conseguenza questo scalda ulteriormente le tensioni su Fitto e sull’ungherese del gruppo dei Patrioti (Várhelyi).
Lo scontro ovviamente ha due dimensioni, una europea e una nazionale. Sul piano europeo è un braccio di ferro tra popolari e socialisti che – per ora – non sembra trovare una quadra in grado di giungere a un accordo, nonostante l’impegno dei centristi di Renew che hanno ben compreso (più dei socialisti) che a forza di tirare la corda all’infinito rischia di crollare giù tutto. Perché la pazienza dei popolari ha un limite. Ed è chiaro che né la presidente della Commissione né Weber hanno intenzione di cedere.
Meloni osserva la partita
Sul piano italiano l’opposizione a Fitto rischia di tramutarsi in un bagno di sangue per il Partito democratico. I dem – pur possedendo la delegazione più ampia tra i socialisti – hanno ceduto chiaramente il timone agli spagnoli, che stanno giocando la loro partita in difesa della Ribera sulla pelle delle istituzioni europee. Giorgia Meloni osserva la partita consapevole che il voto contrario del Pd al connazionale Fitto e il silenzio di Elly Schlein sono il miglior manifesto elettorale per il prossimo futuro, anche per rivendicare la centralità italiana in Europa. “Schlein deve dire agli italiani quale è la posizione del Pd. Lo deve dire agli italiani, non a me, perché le persone serie fanno così. Sono basita, mi aspetto una parola chiara”, ha attaccato la presidente del Consiglio. Qualcuno potrebbe chiedersi se tutto sommato cinicamente (e la politica sa essere molto spesso cinica) per i popolari una resa dei conti al voto segreto potrebbe essere l’occasione di mostrare un’ulteriore prova di forza da far scontare ai socialisti, che poi non avrebbero più alibi ed escamotage politici da sfruttare.
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