Gli Stati Uniti osservano quanto accade in Niger senza riuscire bene a capire come comportarsi. La situazione si fa ogni giorno più complicata. E con il passare del tempo, la giunta militare che ha destituito il presidente Mohamed Bazoum inizia a consolidarsi. L’opzione militare di Ecowas, la comunità degli Stati dell’Africa occidentale che aveva imposto l’ultimatum scaduto domenica scorsa, sembra essersi momentaneamente rarefatta per ragioni interne e internazionali.

Non è detto che sia totalmente esclusa, ma oggi appare un’opzione che piace sempre di meno, tranne al presidente nigeriano. L’amministrazione Biden cerca di muovere le pedine nella speranza di trovare una soluzione che eviti non solo un conflitto, ma anche la perdita di un prezioso partner in un’area critica come il Sahel. Victoria Nuland, sottosegretaria di Stato, si è recata a Niamey per intavolare un dialogo con i golpisti. Ma dalle sue dichiarazioni, l’iniziativa appare assimilabile a un fallimento.
“Questi colloqui sono stati estremamente franchi e a volte abbastanza difficili” ha ammesso Nuland dopo avere incontrato il generale di brigata Moussa Salaou Barmou, capo di stato maggiore dell’esercito, e altri rappresentanti della giunta. Ma non avere parlato né con il leader del putsch, il generale Abdourahamane Tiani, né con Bazoum, fa capire la complessità della situazione. “Le persone che hanno intrapreso questa azione comprendono molto bene i rischi per la loro sovranità quando viene invitata la Wagner” ha continuato la sottosegretaria Usa.

Ma la giunta militare non ha dato segni di cedimento né di volontà di allontanare i sospetti su un potenziale inserimento dei mercenari di Evgenij Prigozhin. E del resto, le immagini dalla manifestazione pro-golpe allo stadio di Niamey con tanto di bandiere russe tra gli spalti hanno inviato un segnale abbastanza chiaro sulla percezione di Mosca in molti strati della popolazione. Washington ha sottolineato più volte i rischi dell’arrivo dei russi. Lo ha confermato alla Bbc anche il segretario di Stato Anthony Blinken, secondo cui ciò che accade in Niger “non è stato istigato dalla Russia o da Wagner” ma queste due forze “hanno cercato di trarne vantaggio”.

Le parole di Blinken potrebbero anche esprimere un approccio soft da parte della diplomazia statunitense, per evitare di mostrare i nuovi interlocutori in Niger come eterodiretti da Mosca e senza istanze da difendere. È altrettanto vero però che Washington ora deve capire come riuscire a risolvere la situazione, dal momento che la base di Agadez, il più importante hub strategico Usa nella regione, rischia di avere i giorni contati. La giunta ha già fatto capire di non avere intenzione di mantenere in vita gli accordi con la Francia. Ed è possibile che questo possa anche replicarsi con gli Stati Uniti, che mantengono sul territorio un migliaio di militari e soprattutto i droni con cui controllano la regione nella lotta al terrorismo. Per l’amministrazione Biden la partita è molto rischiosa, anche perché l’eventualità di un ritiro dal Niger e la parallela impossibilità di sostenere un’iniziativa militare di Ecowas potrebbero inviare l’immagine di un’America compromessa in tutto lo scacchiere africano.

La Cina continua a radicarsi su tutto il continente, con accordi economici e politici che riguardano quasi tutti i Paesi. La Russia, con la sua diplomazia di armi, materie prime e mercenari, è riuscita a rafforzare la sua presenza specialmente nel Sahel, investendo nel caos che da sempre contraddistingue certe nazioni. L’Unione europea, dopo l’ultimo colpo di Stato in Niger, rischia di doversi arrendere a un ruolo sempre più marginale dal Mediterraneo al Sudafrica.
E gli Stati Uniti, in assenza di un cambiamento radicale nell’approccio all’Africa, appaiono sempre meno capaci di incidere sul continente e di sviluppare una leadership che competa con Pechino, Mosca e con altri attori forse meno forti, ma più capaci di inserirsi nel caos che dilaga mentre la democrazia arretra.