Esteri
No al Referendum contro armi in Ucraina: sondaggi pacifisti inammissibili e inutili
Sono inammissibili, anzi inutili, i quesiti dei due referendum “pacifisti” contro l’invio delle armi all’Ucraina sui quali dallo scorso 23 aprile si stanno raccogliendo le firme. Il primo, presentato dal Comitato Ripudia la guerra, vorrebbe abrogare la facoltà del Consiglio dei ministri di deliberare l’invio di armi. Il secondo, promosso dal comitato Generazioni Future¸ si propone di abrogare la disposizione che proroga fino a fine anno l’invio di armi all’Ucraina.
Sgombriamo subito il campo dall’obiezione secondo cui il secondo quesito sarebbe di fatto inutile perché, anche qualora il referendum fosse ritenuto ammissibile dalla Corte costituzionale, questo si terrebbe tra il 15 aprile ed il 15 giugno 2024, quindi “a babbo morto” perché la disposizione avrebbe già cessato di avere effetto l’anno prima. Nulla però esclude che, in caso di prosecuzione della guerra, la disposizione venga rinnovata. In tal caso la Corte costituzionale ha stabilito che se la nuova disciplina non modifica i princìpi ispiratori ed i contenuti di quella preesistente, l’Ufficio centrale per il referendum può modificare il quesito “trasferendolo” sulla nuova normativa.
La principale obiezione che si muove però contro i due quesiti referendari riguarda la loro radicale inammissibilità che vieta i referendum sulle leggi, tra le altre, “di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. I promotori obiettano: non c’è nessun trattato internazionale, neppure quelli dell’Ue, che impongono di offrire supporto militare all’Ucraina per cui l’Italia non ha alcun obbligo internazionale. In tal senso e potrebbe dunque astenersi da tale decisione, come ha fatto l’Ungheria di Orbán. Ma il punto è che l’Italia non si è astenuta ma ha sempre votato, sia nel Consiglio europeo che nel Consiglio dei ministri europeo, a favore di tutte le decisioni prese dall’Ue nell’ambito della sua politica estera e di sicurezza comune contro l’invasione russa ed a sostegno dell’Ucraina, compreso quello finanziario per l’invio di attrezzature e di forniture alle forze armate ucraine tramite l’istituzione dello European Peace Facility.
Due sono i motivi per cui i costituenti vollero sottrarre a referendum abrogativo le leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali: riservare la politica estera al Parlamento ed al Governo ed evitare che l’abrogazione referendaria di un trattato comportasse la responsabilità internazionale dell’Italia per inadempienza verso gli altri Stati contraenti. Peraltro la Corte costituzionale ha dato una interpretazione estensiva delle leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali includendo sia le leggi che ad essi danno esecuzione o attuazione, sia quelle a contenuto “comunitariamente” vincolato o necessario. Per questo motivo, la Corte ha dichiarato inammissibili le proposte di referendum su: centrali nucleari, immigrazione, liberalizzazione contratti di lavoro a tempo determinato e stupefacenti.
È evidente che i decreti legge convertiti dal Parlamento che prevedono l’invio di armi all’Ucraina danno esecuzione alle decisioni assunte dall’Unione europea in attuazione dei suoi principi fondanti che “si prefigge di promuovere anche nel resto del mondo”. Ma tutto questo i promotori del primo referendum lo sanno. Per cercare di evitare il prevedibile giudizio d’inammissibilità della Corte costituzionale chiedono l’abrogazione non degli articoli dei decreti legge che si sono susseguiti sulla crisi ucraina, ma della disposizione che vieta di esportare armi a Stati che abbiano aggredito altri Stati, in violazione della Carta Onu. I promotori vorrebbero giustappunto abrogare la parte della disposizione che prevede la delibera contraria del Consiglio dei ministri, con l’intento d’impedire al Governo di poter decidere l’invio di armi all’Ucraina. Peccato però che questa disposizione con l’invio di armi all’Ucraina, come avrebbe detto Di Pietro, “non ci azzecca nulla” per due motivi: la legge n. 185/1990 si occupa delle esportazioni delle aziende private produttrici di armi, non dello Stato e secondo, non siamo in presenza di alcuna deroga al divieto di aiutare uno Stato aggressore perché nel caso in questione il Consiglio dei ministri ha deliberato per aiutare uno Stato aggredito.
In definitiva, poiché la disposizione oggetto di referendum consente al Consiglio dei ministri di mandare armi ad uno Stato aggressore, la sua eventuale abrogazione non impedirebbe al Consiglio dei ministri di continuare a deliberare l’invio di armi all’Ucraina proprio perché Stato aggredito che sta esercitando il suo diritto “naturale” di autodifesa.
Conseguenza: anche se fosse abrogata la disposizione oggetto del referendum, il Consiglio dei ministri potrebbe continuare a inviare armi all’Ucraina. Tutto questo i promotori del referendum lo sanno già. Non hanno sbagliato mira. Solo che per evitare il giudizio di inammissibilità della Corte costituzionale, hanno reso il quesito inutile.
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