Guerra e sanzioni
No all’embargo alla Russia per i farmaci salvavita, il diritto alla salute è universale
L’Embargo, le varie forme di boicottaggio, anche industriale, e la fuga di cervelli, oltre che il crollo del rublo, sono tra i fattori che minano al cuore un sistema sanitario che era già sotto pressione prima dell’invasione dell’Ucraina decisa da Putin a febbraio. L’amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla, qualche giorno fa ha chiarito che non fermeranno “il flusso dei medicinali essenziali verso la Russia. La fine della somministrazione di farmaci, compresi quelli per le terapie contro il cancro o quelle cardiovascolari, causerebbe una significativa sofferenza ai pazienti oltre che una drammatica perdita di vite umane”.
Nonostante ci sia stata una decisione pressoché unanime di sospendere attività commerciali o di produzione in e verso la Russia, decine di aziende farmaceutiche hanno promesso di continuare a inviare medicinali essenziali verso quel paese. La presenza delle grandi aziende farmaceutiche in Russia è significativa, dalla produzione all’esecuzione di studi clinici, fino alla vendita di farmaci il settore non è secondario – e non solo per la Russia. Si tratta di intrecci di attività complesse che implicano finanziamenti internazionali il cui congelamento è più complesso rispetto a quanto fatto da McDonald’s, Coca-Cola o IKEA. Se alcune aziende farmaceutiche hanno ritirato alcuni prodotti non salvavita, come Cialis e Botox, secondo il Financial Times, la Eli Lilly ha rifocalizzato le sue operazioni sull’aiuto alle persone con cancro e diabete. Tanto EL che Pfizer hanno fatto sapere pubblicamente che doneranno i profitti provenienti dalla Russia agli sforzi umanitari in aiuto dell’Ucraina.
Novartis ha sospeso la commercializzazione ma non la produzione che prosegue in uno stabilimento a San Pietroburgo. Ci sono forti pressioni interne ed esterne perché invece si ritiri completamente dalla Russia. Secondo quanto raccolto da vari siti specializzati, il dibattito all’interno dell’industria farmaceutica è, finalmente, diventato pubblico con i leader di alcune piccole e medie imprese che hanno fatto circolare una lettera in cui si sollecita il ritiro in massa dalla Russia anche se non totale per consentire l’accessibilità di medicine essenziali. Non sfugge che, a seguito dell’embargo, anche là dove vengono garantite le forniture queste potranno avvenire solo via terra con convogli dedicati che avranno tempi incerti di consegna per i problemi “burocratici” alle frontiere della Federazione russa, per non parlare delle modalità di pagamento verso banche internazionali ormai quasi tutte bloccate. Allo stesso tempo l’OMS ha ritardato la revisione del vaccino Sputnik V di produzione Russa. La crisi in Ucraina ha aggravato il processo di valutazione del vaccino complicando operativamente il lavoro dell’agenzia sanitaria internazionale. La missione in Russia degli esperti avrebbe dovuto essere effettuata il 7 marzo ma il conflitto l’ha rinviata a data da destinarsi.
Il processo EUL (Emergency Use Listing) del vaccino russo Sputnik V era già stato stato bloccato a ottobre 2021 a causa di mancanza di dati e altri problemi legati a non meglio precisate procedure legali. L’ok dall’OMS, sempre più probabile visti anche anche recenti studi incoraggianti, potrebbe consentire l’acquisto del siero all’interno del programma COVAX per la fornitura di vaccini a livello globale con particolare attenzione ai paesi più poveri. L’Economist ritiene che l’Italia sia un caso anomalo nel panorama occidentale di vicinanza a Putin. A seguito dell’intervento di Zelensky alle Camere di martedì scorso, il Presidente Draghi ha pronunciato parole chiare su con chi stia la Repubblica italiana, ciò non toglie che il diritto alla salute è un diritto universale e che, come tale, va tutelato dappertutto, specie dove le persone subiscono limitazioni, intimidazioni e costrizioni autoritarie per il mero fatto di non partecipare alle adunate pubbliche in sostegno della guerra. Si tratta di una necessaria eccezione umanitaria per cui impegnarsi.
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