Le abbiamo dato i farmaci, poi le abbiano messo un sacchetto in testa e lo abbiamo chiuso. Laura non moriva e io e Silvia le abbiano stretto le mani al collo”. Emergono nuovi, agghiaccianti dettagli sull’omicidio di Laura Ziliani, l’ex vigilessa di Temù, nel bresciano, dopo le confessioni di quello gli inquirenti hanno definito ‘il trio criminale’.

Mirto Milani, il fidanzato di una delle figlie della vittima e in carcere dal 24 settembre scorso, ha raccontato con queste parole il delitto avvenuto l’8 maggio di un anno fa. Il medico legale aveva ipotizzato che, una volta stordita, Laura fosse stata soffocata con un cuscino. Ma durante gli interrogatori i tre presunti responsabili dell’assassinio- Milani, Paola e Silvia Zani, due delle tre figlie della donna- hanno ammesso di aver tentato di ucciderla anche il 16 aprile, somministrandole una tisana con benzodiazepine che l’avevano fatta dormire per oltre 48 ore. “Un episodio che altro non è che il prodromo dell’omicidio” secondo gli inquirenti.

“Non sono riuscito ad andare fino in fondo”

Stando a quanto riportato da Il Corriere della Sera, quel 16 aprile qualcosa andò storto: “Non sono riuscito ad andare fino in fondo, ho avuto paura” avrebbe raccontato Mirto Milani. E stando alle confessioni dei tre, è stato sempre in quel periodo che hanno scavato la fossa nel bosco, poi ritrovata dai carabinieri, in cui avrebbero dovuto seppellirla. Ma era troppo piccola e poco profonda, e non l’hanno mai usata.

Era stata la stessa Laura a raccontare di quelle 48 ore di sonnolenza e spossatezza, come confermato anche dal compagno. In un interrogatorio del 12 giugno scorso lui aveva riferito di sospetti, ora diventati certezze, in merito al fine settimana tra il 16 e il 18 aprile, in cui l’ex vigilessa 55enne, vedova dal 2012, aveva accusato uno strano malore. “Quando ci incontrammo di persona il lunedì arrivai persino a dirle che l’avevano avvelenata. Lei si arrabbiò per la mia affermazione“. In quel weekend la vittima era realmente stata avvelenata dalle figlie e da Mirto. 

L’omicidio era sfumato quella volta a causa della mancanza di coraggio del ragazzo che oggi – sottolinea il quotidiano- sembra il più provato dopo 8 mesi di carcere: a 48 ore dalla confessione ha avuto un crollo emotivo e da giovedì è ricoverato in ospedale. Ma il delitto è stato poi portato a termine- secondo il gip dopo averlo a lungo pianificato- meno di un mese dopo, la sera del 7 maggio. Una volta sedata, i tre le avrebbero messo un sacchetto in testa: ma Laura non moriva, la sete d’aria le stava provocando delle convulsioni. E allora l’avevano strozzata mettendole le mani al collo, per poi trasportare il corpo, con addosso solo una canotta e un paio di slip, lungo l’argine del fiume Oglio. Dove venne ritrovato l’8 agosto 2021.

I rapporti tesi e difficili in famiglia

Non avrebbero ucciso per questioni economiche, assicurano. Paola e Silvia Zani, 20 e 27 anni, dopo aver scelto il silenzio, hanno deciso di ammettere le proprie responsabilità, parlando di ‘rapporti familiari tesissimi e logori da tempo’ con una madre ‘dura’ che le faceva sentire ‘inferiori, sbagliate e inadeguate’. Lei, sempre attenta al fisico e all’attività sportiva, le avrebbe attaccate ripetutamente perché in sovrappeso.

Stando alle loro parole, la madre inoltre le sminuiva a fronte dei risultati che invece lei stessa era riuscita a ottenere nella vita. Con Mirto che avrebbe partecipato all’omicidio solo ‘per ‘amore’ di Silvia, senza ‘guadagnarci’ nulla. Una versione ritenuta inverosimile da chi indaga.