Il caso
Pagine gialle, smontato il teorema del Pm e tutti assolti con formula piena
«Sono molto soddisfatto, per me, per l’intero Cda e per tutti coloro che in quegli anni hanno lavorato e creduto in Seat Pagine Gialle». Così l’ex amministratore delegato della storica azienda piemontese Luca Majocchi ha commentato l’assoluzione con formula piena decisa giovedì scorso dal Tribunale di Torino. Tutti assolti i 15 manager – tra cui l’ex presidente Enrico Giliberti – per i quali il pm Valerio Longi aveva invece chiesto condanne a 5 anni ciascuno (75 complessivi) per bancarotta fraudolenta con operazioni dolose. «È una notizia straordinaria e va dato merito al Tribunale torinese di aver voluto approfondire una questione con un portato numerico di 3,5 miliardi di euro e con forti ricadute sull’opinione pubblica» ha aggiunto il suo legale, l’avvocato Giuseppe Fornari. Fondata nel 1925 per la pubblicazione degli elenchi telefonici, Seat ebbe alterne vicissitudini fino ad essere ammessa, ormai travolta dai debiti, al concordato preventivo nel 2014. Un crac pesante, secondo per numeri soltanto alla vicenda Parmalat nello scenario italiano.
La formula scelta adesso dai giudici per assolvere il management è che “il fatto non sussiste” in relazione al crac connesso al leveraged buy out strutturato nel biennio 2003-2004 – un’operazione molto complessa e all’epoca innovativa – mediante cui Seat Pagine Gialle era stata acquisita da un consorzio di Fondi di Private Equity. È stata quindi accolta la tesi della difesa secondo cui il maxi-dividendo agli azionisti di Seat Pagine Gialle deliberato nel 2004 era «perfettamente giustificato perché la futura crisi dell’azienda non era prevedibile». Secondo la Procura, per contro, proprio il dividendo di tre miliardi e 578 milioni contribuì a generare una «situazione finanziaria insostenibile» che condusse la società al dissesto.
Majocchi sottolinea con forza che la causa del dissesto è stata di natura industriale e non finanziaria: «Per comprendere la situazione manca un tassello. Può sembrare che all’origine del crac ci sia stata l’operazione di leveraged buy out, pur essendo stata riconosciuta legale dai magistrati. Non è così. Nel 2003 il presupposto era che Seat rappresentava un’azienda molto forte nel panorama italiano grazie agli elenchi cartacei, ai servizi telefonici e a Internet. La storia poi è stata diversa dalle attese: cinque anni dopo, nel 2008, nasce il mondo del “mobile business” e un intero modello di business viene spazzato via». Il manager spiega che non è stato un fenomeno solo italiano: «In tutto il mondo le società di Pagine Gialle hanno perso il fatturato a favore di Google». Un’impostazione evidenziata anche dall’avvocato Fornari: «Il Tribunale ha saputo apprezzare la vera dinamica industriale sottesa alle operazioni di private equity in seno alla quale Majocchi ha creduto molto nella sfida dell’innovazione».
Durante una delle udienze l’avvocato Giuseppe Iannaccone ha sostenuto che la tesi accusatoria partiva da un’incompleta conoscenza dei fatti: «Come voler giudicare i Promessi Sposi leggendo solo il capitolo sulla Monaca di Monza: sembrerebbe un romanzo erotico». ha commentato l’assoluzione con formula piena decisa giovedì scorso dal Tribunale di Torino. Tutti assolti i 15 manager – tra cui l’ex presidente Enrico Giliberti – per i quali il pm Valerio Longi aveva invece chiesto condanne a 5 anni ciascuno (75 complessivi) per bancarotta fraudolenta con operazioni dolose. «È una notizia straordinaria e va dato merito al Tribunale torinese di aver voluto approfondire una questione con un portato numerico di 3,5 miliardi di euro e con forti ricadute sull’opinione pubblica» ha aggiunto il suo legale, l’avvocato Giuseppe Fornari. Fondata nel 1925 per la pubblicazione degli elenchi telefonici, Seat ebbe alterne vicissitudini fino ad essere ammessa, ormai travolta dai debiti, al concordato preventivo nel 2014. Un crac pesante, secondo per numeri soltanto alla vicenda Parmalat nello scenario italiano.
La formula scelta adesso dai giudici per assolvere il management è che “il fatto non sussiste” in relazione al crac connesso al leveraged buy out strutturato nel biennio 2003-2004 – un’operazione molto complessa e all’epoca innovativa – mediante cui Seat Pagine Gialle era stata acquisita da un consorzio di Fondi di Private Equity. È stata quindi accolta la tesi della difesa secondo cui il maxi-dividendo agli azionisti di Seat Pagine Gialle deliberato nel 2004 era «perfettamente giustificato perché la futura crisi dell’azienda non era prevedibile». Secondo la Procura, per contro, proprio il dividendo di tre miliardi e 578 milioni contribuì a generare una «situazione finanziaria insostenibile» che condusse la società al dissesto.
Majocchi sottolinea con forza che la causa del dissesto è stata di natura industriale e non finanziaria: «Per comprendere la situazione manca un tassello. Può sembrare che all’origine del crac ci sia stata l’operazione di leveraged buy out, pur essendo stata riconosciuta legale dai magistrati. Non è così. Nel 2003 il presupposto era che Seat rappresentava un’azienda molto forte nel panorama italiano grazie agli elenchi cartacei, ai servizi telefonici e a Internet. La storia poi è stata diversa dalle attese: cinque anni dopo, nel 2008, nasce il mondo del “mobile business” e un intero modello di business viene spazzato via». Il manager spiega che non è stato un fenomeno solo italiano: «In tutto il mondo le società di Pagine Gialle hanno perso il fatturato a favore di Google».
Un’impostazione evidenziata anche dall’avvocato Fornari: «Il Tribunale ha saputo apprezzare la vera dinamica industriale sottesa alle operazioni di private equity in seno alla quale Majocchi ha creduto molto nella sfida dell’innovazione». Durante una delle udienze l’avvocato Giuseppe Iannaccone ha sostenuto che la tesi accusatoria partiva da un’incompleta conoscenza dei fatti: «Come voler giudicare i Promessi Sposi leggendo solo il capitolo sulla Monaca di Monza: sembrerebbe un romanzo erotico».
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