Papa Francesco è stato l’uomo che ha riconciliato il Vaticano con il continente africano. Il pontefice argentino aveva infatti recuperato un rapporto che era stato accantonato dal suo predecessore, ripartendo nel 2015 con un tour in Africa che aveva toccato il Kenya, l’Uganda e la Repubblica Centrafricana, tre Stati simbolici e scelti con precise motivazioni anche politiche. La sua visione e apertura verso i cosiddetti Paesi in via di sviluppo ha costellato il suo Pontificato portandolo a viaggiare molto, ma grande è stata la sua attenzione per il continente africano: aveva capito che il ruolo della Chiesa era ancora più determinante. I tre Stati scelti per la riapertura del dialogo erano significativi, perché il Papa era un attento osservatore e un fine analista.

Il dialogo

Il Kenya ha una popolazione cattolica che arriva al 20%, ma con i credo protestanti si supera il 50% del totale. La comunità musulmana subisce l’influenza jihadista della vicina e martoriata Somalia, e per questo il dialogo interconfessionale è stato un caposaldo della visita papale. La scelta della Repubblica Centrafricana era sembrata la più sorprendente, ma necessaria perché sconvolta dalla guerra civile e da fortissimi conflitti religiosi tra la maggioranza cristiana e la minoranza musulmana che vive nelle regioni occidentali. Ma Francesco aveva deciso di fare molto di più, e per la prima volta nella storia aveva deciso di aprire la Porta Santa lontano da Roma. In una gremita Cattedrale di Notre Dame nella Capitale centrafricana Bangui, il Pontefice aveva inaugurato il Giubileo straordinario della Misericordia, un atto deflagrante che riportava un Paese dimenticato al centro del mondo.

I viaggi di Papa Francesco in Africa

Il suo rapporto con l’Africa non aveva fatto che crescere e nel 2017 era voluto tornare a calcare la terra africana sbarcando in Egitto. Il Cairo è un gigante regionale con l’85% della popolazione di fede islamica, ma che vanta un’antichissima comunità cristiana-copta, fortemente marginalizzata dalla società egiziana. Qui aveva incontrato il Patriarca copto e aveva visitato l’Università islamica sunnita di Al-Azhar, realizzando un piccolo capolavoro politico e diplomatico per il Vaticano che usciva rafforzato nel vitale Paese affacciato sulle coste del Mediterraneo. Nel 2019 Bergoglio era volato in Marocco e nello stesso anno aveva toccato Mozambico, Madagascar e Mauritius. Tre nazioni che non erano mai state al centro delle attenzioni della Santa Sede, ma anche queste geopoliticamente determinanti. Il Mozambico è un Paese a stragrande maggioranza cattolica, ma che dal 2017 vive una guerra contro l’estremismo islamico nelle province settentrionali. Qui un gruppo affiliato con lo Stato islamico brucia città e villaggi, cercando di prendere il controllo del più grande giacimento di gas del continente. L’arrivo del Pontefice aveva riportato l’attenzione su questa guerra, e Papa Francesco si era adoperato per cercare di fermare la violenza che colpiva con forza chiese e missioni in tutto il Mozambico e che nel 2022 aveva visto il drammatico omicidio di suor Maria De Coppi, la missionaria 83enne assassinata mentre cercava di difendere un gruppo di studentesse che i terroristi volevano rapire dopo aver dato alle fiamme l’intero villaggio. In questo viaggio, il Papa aveva toccato anche due temi molto cari agli africani: il futuro dei giovani e l’ambiente.

Il capolavoro in Congo

Madagascar e Mauritius vengono colpiti continuamente da eventi ambientali catastrofici, e Francesco si era anche fatto portavoce delle loro istanze nelle grandi assemblee che dovrebbero affrontare questa tematica, come la Cop29 di Baku, la Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite. Ma l’autentico capolavoro diplomatico del Pontificato di Jorge Mario Bergoglio era stato in Repubblica democratica del Congo, un Paese che negli ultimi 30 anni ha conosciuto soltanto la guerra e la disperazione. Qui, per poter tornare a votare, era stato determinante il ruolo della Conferenza episcopale congolese (Cenco) che – nonostante violenze e minacce – era diventata l’unica vera opposizione al presidente Joseph Kabila. Papa Francesco aveva periodicamente invitato a Roma i rappresentanti della Cenco, sostenendoli con forza e lanciando più volte appelli per libere elezioni in Congo, faticosamente ottenute nel 2019. L’Africa oggi perde un uomo che aveva compreso il suo ruolo e che aveva lottato per farla crescere e diventare protagonista negli equilibri geopolitici globali.

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Matteo Giusti, giornalista professionista, africanista e scrittore, collabora con Limes, Domino, Panorama, Il Manifesto, Il Corriere del Ticino e la Rai. Ha maturato una grande conoscenza del continente africano che ha visitato ed analizzato molte volte, anche grazie a contatti con la popolazione locale. Ha pubblicato nel 2021 il libro L’Omicidio Attanasio, morte di una ambasciatore e nel 2022 La Loro Africa, le nuove potenze contro la vecchia Europa entrambi editi da Castelvecchi