I limiti del pauperismo: Chiesa senza dottrina, Europa dimenticata
Papa Francesco, la rivoluzione mancata. Distaccato dalle tradizioni ma lontano dai nuovi valori: il pontificato rimasto a metà
La misericordia al centro, l’enfasi sugli ultimi, le riforme incompiute: un pontificato profetico e divisivo, fatto di grandi aperture, riflessi conservatori e tante questioni irrisolte. Simboli forti, confusione dottrinale, Curia spaccata. La Chiesa in cerca di un nuovo ordine

Al Papa va riconosciuto l’onore delle armi per essere rimasto fino all’ultimo al suo posto, anche quando la grave prostrazione fisica (e qualche consigliere?) gli suggeriva le dimissioni. Negli ultimi giorni di vita Francesco ha voluto stare in mezzo alle sue pecore per portare con sé il loro odore; non ha esitato neppure a mandare un segnale politico Oltreoceano, incontrando J.D. Vance per un breve saluto. La morte del successore di Pietro trasformerà il Giubileo in un’apoteosi di fedeli e pellegrini. Ma basterà l’emozione del popolo di Dio a ridare unità alla Chiesa? La solennità del Giubileo e la fede dei credenti riusciranno a contaminare il Conclave di una gerarchia divisa? Quanto a Francesco, ci chiediamo: fu vera gloria la sua? La principale caratteristica del Pontificato di Francesco può essere individuata in una lettera “speciale” che firmò anni fa un gruppo di credenti. La missiva – finita presto nell’oblio – era un’implacabile requisitoria nella quale venivano stigmatizzate scelte e omissioni compiute sotto l’attuale Pontificato, per concludere con un giudizio molto netto: “La Chiesa è oggi un vero ‘ospedale da campo’ zeppo di feriti, che ha urgente bisogno non tanto di discorsi sulla misericordia, ma di misericordia vera, reale, concreta. Di vera pace”. Poi, proseguiva la lettera, “la ‘Chiesa brucia’ come non mai: è divisa e lacerata, in Italia, in Cina, negli Usa, in Germania… Come ai tempi di Lutero”. Arrivava, di seguito, l’invocazione finale che non aveva il tono riguardoso e sottomesso di una preghiera, ma era l’accorato appello a cambiare indirizzo, essendo il Pontefice – ad avviso dei firmatari – non uno spettatore neutrale ma il principale responsabile delle attuali difficoltà della Chiesa cattolica.
Poi aggiungevano: “Anche noi laici – per quanto più liberi e non sottoposti all’arbitrio crescente nel mondo clericale – soffriamo questo clima divenuto pesante, quasi irrespirabile, questa scomparsa ormai totale di ogni sana pluralità. La Chiesa da Madre sembra sempre di più una matrigna, impone anatemi, scomuniche, commissariamenti, a ritmo continuo”. Infine, i sottoscrittori concludevano: “La preghiamo, dunque, umilmente: ponga fine a questa guerra civile nella Chiesa, come un Padre che guarda al bene di tutti i suoi figli, e non come il capo di una corrente clericale che sembra voler utilizzare la sua autorità monarchica, sino in fondo, spesso oltre i confini del diritto canonico, per realizzare un’ideologica agenda personale”.
L’omelia di Ratzinger
Che questa sia la realtà lo si vede, ad anni di distanza, dalla composizione del Sacro Collegio. La lettura di questa “lettera speciale” richiamò la mia attenzione su di un’importante omelia che l’allora Cardinale Ratzinger pronunciò all’apertura del Concistoro chiamato a eleggere il successore di Papa Giovanni Paolo II (Missa pro eligendo Romano Pontefice, nella Basilica di San Pietro il 18 aprile 2005). “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo a un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno – denunciava Ratzinger – nascono nuove sette. Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare ‘qua e là da qualsiasi vento di dottrina’, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”. Infatti, liberata dal potere temporale, l’autorità della Chiesa si esprimeva indicando un’etica a cui attenersi nei comportamenti della vita quotidiana. Ma la Chiesa sta perdendo l’Europa sul piano dell’etica e quindi della principale funzione che è chiamata a esercitare. L’Europa (la culla della civiltà giudaico-cristiana) ha scoperto nel nuovo “vitello d’oro” del “dirittismo” un’altra etica “immorale” perché rivolta a demolire – in nome dei “nuovi diritti” – ogni principio del diritto naturale (su cui è fondata la dottrina della Chiesa).
Il Vaticano rimasto a metà
Più volte si è notato che Papa Francesco non parlasse volentieri dell’Europa come entità non solo politica, ma anche spirituale. Sul piano dottrinale, il Vaticano non è stato in grado di attestarsi su nuovi valori né di difendere quelli della tradizione. È rimasto a metà. E ha dissimulato le sue incertezze invocando il rafforzamento dell’azione pastorale: come disse Francesco, i sacerdoti sono custodi del gregge e devono avere lo stesso odore delle pecore loro affidate. Il Cardinale Carlo Caffarra fu il primo a denunciare questa teoria, quando ancora Papa Francesco trascorreva – grazie alla rappresentazione di un discutibile pauperismo come stile di vita – la luna di miele con i fedeli e l’opinione pubblica mondiale: “Una Chiesa con poca attenzione alla dottrina – disse Caffarra – non è più pastorale, è solo più ignorante”.
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