Il processo a carico di Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna accusato di diffusione di notizie false, è stato aggiornato al 21 giugno. L’udienza si è svolta stamattina presso il Palazzo di Giustizia di Mansura, città natale del 30enne, sul delta del Nilo. “Grazie per essere sempre dalla mia parte”, ha scritto Zaki in un post sui social dopo l’aggiornamento. La notizia dell’aggiornamento era stata data all’Ansa dalla sorella dello studente Marise ed è stata confermata da Amnesty International.
Zaki era stato detenuto al suo arrivo all’aeroporto de Il Cairo nel febbraio 2020 e dopo mesi di detenzione era stato liberato nel dicembre 2021. Era appena atterrato per una vacanza in Egitto. Da allora la sua custodia in carcere è stata puntualmente rinnovata. Il rinvio a giudizio è arrivato per “diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese” sulla base di un articolo scritto dallo stesso studente e pubblicato sul sito Daraj e su alcuni post sui social network sulla persecuzione ai danni dei cristiani copti.
Dall’arresto la sua custodia in carcere è stata puntualmente rinnovata per mesi fino allo scorso dicembre. Zaki era arrivato a Bologna dopo aver vinto una Borsa di Studio per un master Gemma dedicato agli studi di genere e delle donne. Lo scorso dicembre, dopo la liberazione, il nome dello studente era stato inserito in una black list: non poteva lasciare il Paese. Zaki aveva espresso subito il suo desiderio di poter tornare a Bologna per studiare e completare la sua carriera universitaria.
L’attivista egiziano ha dichiarato all’Ansa, alla conclusione dell’udienza a Mansura, che i suoi legali hanno fatto ricorso a “un’altra tattica” chiedendo di consentire allo studente egiziano dell’Università di Bologna di viaggiare all’estero in attesa che venga pronunciata la sentenza su un caso analogo che ha rilevanza ai fini di quello di Patrick.
Prima dell’udienza, stamattina, Zaki aveva fatto sapere di aver subito un attacco informatico. I verbali chiesti dagli avvocati per dimostrare l’irregolarità dell’arresto del febbraio 2020 non sono invece ancora stati concessi dal giudice monocratico di Mansura. Lo stesso vale, ricostruisce Il Corriere della Sera, per vecchi atti processuali e per un testimone di cui è stata chiesta l’acquisizione e la comparizione per dimostrare la correttezza di quanto espresso negli scritti di Zaki sulle persecuzioni ai danni dei copti.
“Ci rassicurerebbe sapere che in questo momento in cui l’attenzione del mondo è doverosamente concentrata su altro in qualche stanza della Farnesina si continui a pensare a Patrick Zaki e a cercare soluzioni per farlo tornare al più presto in libertà”, le dichiarazioni di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. “Si potrebbe chiamare cronaca di un rinvio annunciato. Questo non va bene, Patrick è bloccato nelle maglie di un sistema giudiziario che prima lo ha tenuto per 22 mesi in attesa del processo e ora lo sta trattenendo dentro un processo che non si sa quando finirà”.
© Riproduzione riservata