Per trovare Papua Nuova Guinea sul mappamondo, bisogna girarlo completamente rispetto a noi. Il giro è anche temporale, perché lì vivono tribù ancora isolate nella foresta. Ce n’è una che seppe dell’esistenza di altri popoli solo nel 1974, un anno prima che l’arcipelago raggiungesse la sua indipendenza. Non ci sono state esecuzioni dal 1954 e, secondo alcuni analisti, ciò è dipeso dalla cultura tribale – retributiva all’incontrario – per cui i boia o i legislatori che avessero procurato o consentito la morte tramite esecuzione, avrebbero potuto subire la ritorsione violenta da parte del clan del giustiziato.

Sta di fatto però che le sole impiccagioni di cui si è avuto notizia sono quelle avvenute sotto le varie amministrazioni britannica, tedesca e australiana. Abolita nel 1970 sotto l’amministrazione australiana, la pena di morte è stata reintrodotta nel 1991 per omicidio, tradimento e pirateria. In un malsano tentativo di tenersi al passo con i tempi moderni, dopo tanti viaggi-studio in Thailandia, a Singapore, in Malesia, in Indonesia e negli Stati Uniti, il Parlamento introdusse nel 2013 la “civilissima” iniezione letale, con anche il plotone di esecuzione e la sedia elettrica in aggiunta al tradizionale metodo dell’impiccagione. Con l’occasione vennero inseriti nel codice penale anche i reati capitali di stupro aggravato, omicidi legati alla stregoneria e rapine violente. Già nel 2014, però, la difficoltà a procurarsi i farmaci per l’iniezione letale portò il Paese a rinunciare a questo metodo così moderno.

E quando nel 2015, il Ministro della Giustizia e Procuratore Generale Lawrence Kalinoe annunciò la ripresa delle esecuzioni, vi fu il contenimento da parte del Primo Ministro Peter O’Neill che, invocando invece l’abolizione in nome della religione cristiana e delle tradizioni, prese decisamente le distanze da chi con la pena di morte pensava di far rispettare la legge e l’ordine nel Paese. A mitigare la bramosia della forca intervenne poi nel 2017 la Corte Nazionale che fece notare come mancasse un Comitato per la grazia e la revisione delle domande individuali di clemenza e pertanto sospese le esecuzioni in vista della costituzione di questo istituto di mitigazione delle pene. In questo succedersi di opposte tendenze è emerso il senso di un ordine che ha portato il Parlamento di Papua Nuova Guinea ad abolire definitivamente la pena di morte.

Il 20 gennaio scorso sono stati esaminati 11 disegni di legge, di cui 6 d’iniziativa del Ministro della Giustizia Bryan Kramer. Nell’illustrarli, il Ministro Kramer ha spiegato come fosse difficile per il Governo riuscire a praticare i metodi di esecuzione in modo umano. Sempre in Parlamento il Primo Ministro James Marape ha detto che la pena di morte “è stata contemplata nell’ordinamento per molti anni, ma in considerazione del trend globale e di studi internazionali, non è un deterrente”. Marape si è anche richiamato ai valori cristiani quando ha detto di ritenere prevalente il “non uccidere” e che solo a Dio spetta giudicare.

Secondo quanto reso pubblico dal commissario per i servizi penitenziari Stephen Pokanis, ci sono 14 detenuti nel braccio della morte della prigione di Bomana a Port Moresby, mentre altri condannati a morte sono reclusi in altre prigioni in tutto il Paese. La loro pena verrà commutata in ergastolo senza condizionale o con possibilità di condizionale dopo trent’anni a seconda dei casi. C’è dunque molto da fare ancora perché Papua Nuova Guinea si liberi oltre che della pena di morte anche della pena fino alla morte. C’è da dire però che, almeno, dopo trent’anni, ha avuto la capacità di dire basta all’idea che legge e ordine si possano affermare solo attraverso la terribilità della pena. Da noi invece, dopo trent’anni, lo stato di guerra e di emergenza non è ancora finito, l’arsenale di leggi, misure, procedure e regimi speciali non è ancora stato smantellato.

Anzi, c’è chi, per continuare a combattere la mafia, invoca ancora “carcere duro” e “fine pena mai”. E sbarra con i soliti anatemi, falsi allarmi e vere e proprie maledizioni la strada verso l’abolizione illuminata dalle sentenze della Corte Europea e della Corte Costituzionale. Nel trentennale della introduzione della pena di morte, la Papuasia decide di abolirla. Nel trentennale della introduzione della pena fino alla morte, l’Italia la vorrebbe mantenere. Il livello di civiltà di un Paese si misura anche da questo.