Esiste un’emergenza giovani nel nostro Paese. E il governo Meloni la peggiora. Alle disuguaglianze territoriali, le disfunzioni scolastiche, la difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro, si aggiunge il miraggio della pensione. Che per i Millennials, cioè quelli che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996, diventa un vero miraggio. La nuova riforma delle pensioni, colpisce in particolare la platea dei cosiddetti ‘totalmente contributivi’: coloro che in pensione prenderanno esclusivamente quanto avranno versato nell’arco della loro vita lavorativa.

“I giovani rischiano di essere i più penalizzati, non solo perché gli under 35 fanno più fatica ad entrare nel mercato del lavoro, ma anche sul fronte previdenziale pagheranno un prezzo più alto” dice Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil. Infatti – spiega la dirigente sindacale – per tutti coloro che hanno iniziato a versare i contributi dopo il 1 gennaio 1996 il nostro sistema previdenziale contributivo prevede un accesso al pensionamento anticipato solo laddove si perfezioni un importo minimo di pensione, e il combinato disposto dell’andamento di crescita dei salari, che nel nostro Paese aumentano sempre meno, e delle scelte dell’Esecutivo sull’innalzamento dell’asticella per la pensione anticipata a tre volte l’importo dell’assegno sociale, ha come effetto di rendere quest’ultima praticamente impossibile per i giovani”.

Lo evidenzia lo studio dell’Ufficio previdenza della Cgil nazionale. Nel dettaglio, “se secondo i dati Istat i salari nel biennio sono cresciuti del 4,4%, nello stesso periodo l’importo soglia per l’accesso alla pensione nel sistema contributivo (assegno sociale) è cresciuto del 13,5%: vi è quindi una differenza del 9,1% che si traduce in una perdita secca sia di potere di acquisto che dell’ammontare della pensione”, sottolinea il responsabile Previdenza della Confederazione Ezio Cigna. “Come se non bastasse – prosegue – l’Esecutivo ha deciso di portare il requisito di accesso alla pensione anticipata con 64 anni di età e almeno 20 di contributi, a 3 volte l’importo dell’assegno sociale, e dal 1° gennaio di quest’anno i requisiti di accesso a 64 anni cambiano radicalmente. Se nel 2022 bastavano 1.309,42 euro per accedere al pensionamento anticipato, adesso ne serviranno 1.603,23, con una differenza nel biennio pari a 293.81 euro, il 22,4% in più”.

Nell’analisi l’Ufficio previdenza della Cgil si è chiesto quanti contributi sarebbero necessari per determinare un aumento della pensione contributiva di 293,81 euro. “Considerando il coefficiente di trasformazione in vigore attualmente a 64 anni pari a 5,184 abbiamo calcolato che sarebbero necessari 74.000 euro di contributi. Considerando l’aliquota previdenziale al 33%, per accantonare tale importo di contributi bisognerebbe avere retribuzioni per 224.500 euro. Per perfezionare il nuovo requisito, dal 2024 almeno 3 volte l’assegno sociale, pari a 1.603,23 euro, bisognerà quindi raggiungere un montante contributivo pari a 402.500 euro, una cifra impossibile per la maggioranza dei giovani”.

I salari negli ultimi due anni – secondo i dati Istat – sono cresciuti del 3,1% rispetto all’anno precedente nel 2023, mentre nel 2022 sono cresciuti del 1,1%. Solo nel 2024 ci sono 10 milioni di lavoratrici e lavoratori a cui deve essere rinnovato il contratto. Lo studio ha verificato anche quanti contributi sarebbero necessari per determinare un aumento della pensione contributiva di 293,81 euro. Ricordiamo che il metodo contributivo si basa su criteri di rigida “neutralità attuariale” fra i contributi pagati durante l’intera carriera e le prestazioni che si riceveranno da anziani, garantendo uniformità dei rendimenti sui contributi versati, indipendentemente dalla storia lavorativa. L’equità e la neutralità da molti confusa nel sistema contributivo, non tiene assolutamente conto di qualsiasi forma di solidarietà o redistribuzione, anzi, considerando l’impianto attuale vi è il rischio concreto che i più deboli e fragili nel mercato del lavoro, faranno solidarietà a coloro che hanno magari lavorato meno ma con alti salari. Nel sistema contributivo, al contrario di quello retributivo, in caso di inflazione, non aumenta la quota di pensione, mentre come sappiamo nel sistema retributivo l’inflazione determina un aumento delle retribuzioni medie prese a riferimento per il calcolo della pensione.