La transizione ecologica è gravata da problemi di diversa natura: economici, sociali, ambientali, paesaggistici, normativi, procedurali. Richiede cambiamenti persino negli stili di vita delle persone, fa ripensare il modello di sviluppo fondato sul consumo di beni non riproducibili. Sul tema, il dibattito pubblico si è arricchito di ben trentadue “contributi a pensare” prodotti da altrettanti autori diversamente collocati nella società e nei saperi. Sono pubblicati nel libro “Napoli 1990-2050. Dalla deindustrializzazione alla transizione ecologica” nel quale Attilio Belli, che ha coordinato l’iniziativa, aggiunge il suo prezioso contributo di raccordo tra diversi approcci, discipline, culture e sensibilità politiche che si sono espresse. Prezioso perché tende a colmare un vuoto di strategia politica che si è determinato da quando la politica ha delegato la sua funzione a tecnicismi settoriali.

La complessità della transizione, infatti, richiede una visione d’insieme, un approccio sistemico e multidisciplinare che stenta a comporsi nella società napoletana, ma sarebbe necessaria per accompagnare la transizione. Di qui la difficoltà a prendere decisioni e a operare, come onestamente ha dichiarato il Sindaco Manfredi in occasione della presentazione del libro. Come poter intervenire attivamente in questa situazione? Con il Circolo Ilva Bagnoli abbiamo pensato di esplorare la complessità a dimensioni più circoscritte, nel luogo emblematico di Bagnoli, interessato come è noto da un bisogno di ri-generazione ambientale, economica e sociale che da trent’anni stenta a tradursi in operatività.

Consapevoli che lo sviluppo di un territorio dipende anche dal suo intorno, abbiamo ragionato con Belli sul ruolo strategico di Bagnoli nella più ampia area Flegrea e nella Città metropolitana; sulla possibilità che accelerando la transizione a Bagnoli, si possa innescare un processo di cambiamenti di più ampia portata e significati. Con Biagio Cillo abbiamo esplorato i conflitti, gli anacronismi, gli ideologismi, le ragioni per cui le suggestioni progettuali non trovano agevolmente la via per essere tradotte in operatività. Sul punto, Giuseppe D’Angelo -vincitore del Bando di concorso emanato dal Circolo Ilva nel 2019 per raccogliere idee-progetto per la sua ri-generazione- ha richiamato il contributo di metodo e di merito che fu dato da tutti i concorrenti nell’ottica di tenere insieme la sostenibilità ambientale, economica e sociale; un indirizzo che -dopo la pandemia- è diventato vincolante per tutte le opere da realizzare con il PNRR e le programmazioni comunitarie.

Sulla sostenibilità sociale e ambientale si è trattenuto Achille Flora, sottolineando l’importanza di coinvolgere le comunità e le imprese locali nella gestione delle opere. Un tema non secondario se si pensa che le opere già realizzate non producono ancora i benefici economici e sociali attesi. Non è stata sottovalutata la condizione ambientale lasciata con la dismissione delle fabbriche, certamente ha pesato molto, ma con Massimo Menegozzo, già Commissario di governo alla bonifica delle acque, alla luce di un puntuale rapporto informativo redatto dal 2010, ci siamo chiesti se le soluzioni (realizzate e prospettate) abbiano piena ed efficace adeguatezza ed economicità.

In estrema sintesi si è ragionato su cosa si può fare adesso, a partire dalla valorizzazione di quanto già esiste, funziona e può funzionare meglio, senza necessariamente radere al suolo energie e risorse che risultano indispensabili, proprio per accompagnare la transizione verso esiti evolutivi. Ci ha confortato l’attento ascolto del subcommissario Filippo De Rossi, consapevole che si debba fare i conti con la complessità, di dover trarre dalla realtà territoriale stessa gli elementi e i fattori critici di successo per compiere l’impegnativa opera della transizione. Del resto, non c’è un algoritmo per governare la complessità. I cambiamenti devono camminare sulle gambe e nei cervelli delle persone. Serve costruire pensiero condiviso sulle cose da fare.