Bagnoli, trent’anni dopo la dismissione degli impianti Italsider. Trent’anni di stallo. Tutti dovremmo chiederci perché un luogo così bello, al centro dell’attenzione dello Stato, con tutti i soldi investiti e/o stanziati, stenti a “rigenerarsi”. Non credo ci sia un territorio più studiato, esplorato, “trivellato” di questo. Ma purtroppo le numerose elaborazioni prodotte non hanno mai formato un “insieme” per consentire al sistema pubblico di formare un “pensiero condiviso” sul futuro possibile di quest’area.

Peraltro l’aspetto più critico deriva dalla mancanza di unitarietà di intenti che alimenta un clima di conflitti, litigiosità e farragini nella filiera istituzionale (Stato-Ministeri-Regione-Comune). In tali conflittualità si disperde il principio di unitarietà dell’azione statuale e, talvolta, anche l’orientamento al Bene Comune. Faccio un esempio. Non dubito che il PRARU (Programma di Recupero Ambientale e Rigenerazione Urbana) sia stato uno sforzo compiuto per superare le divergenze, ma a nessuno sfugge l’incertezza del percorso attuativo. Il programma, infatti, è condizionato da numerose subordinate che ne minano la procedibilità (coperture finanziarie, procedure autorizzative, valutazioni ambientali, contenziosi giuridici).

Che fare allora? A mio parere occorre agire proprio sulla leva della unitarietà dello Stato accompagnata da una strategia operativa rispettosa del luogo e delle comunità che lo abitano. Credo, inoltre, che sia stato sbagliato l’approccio praticato finora. La dico in estrema sintesi: non si può trattare un’area di tale ampiezza e complessità come se fosse un unico edificio o un “prato verde”, dove non si fa nulla se non si decide su tutto. Bisogna intervenire con il bisturi e non con la pialla. Di recente il sindaco Gaetano Manfredi ha ricordato che “il tempo non è una variabile indipendente. E che bisogna capire meglio cosa fare e quanti soldi occorrono”. Mi permetto sommessamente di aggiungere che c’è da capire anche come fare, perché i soldi non basteranno mai se non si cambia l’approccio operativo. Fino ad oggi, approssimativamente, sono stati spesi 600 milioni di euro, sono stanziati 400 milioni di euro e altri 700 sono richiesti per avviare l’incerta attuazione del PRARU.

Si pensa davvero che si possa immobilizzare un volume finanziario di tale portata in attesa che si sciolgano tutti i “nodi” del PRARU? La mia opinione è che sia indispensabile valorizzare e promuovere il capitale ambientale, sociale e imprenditoriale che è immediatamente disponibile sulla nostra piazza. Il quartiere è già dotato di strutture fisiche che si possono più razionalmente utilizzare per produrre ricchezza e benefici sociali senza ulteriori grandi opere, costose e dannose per il paesaggio. Nel luogo risiede già un “capitale sociale territoriale “fatto di persone, saperi, imprese, competenze, passioni: associazioni che in questi ultimi trent’anni hanno dimostrato un diffuso vitalismo e una volontà di partecipazione che è stata puntualmente ignorata e frustrata.

A Bagnoli non mancano anche i “vettori” di una strategia operativa virtuosa. Parlo di Città della Scienza, in cui si è da qualche mese insediato anche il DAC (Distretto Aereospaziale della Campania) e del Circolo Ilva Bagnoli, le cui attività sviluppano oltre 285 mila presenze all’anno e che ha avanzato un progetto di ri-generazione per proseguire e innovare la mission di “fabbrica di inclusione sociale” che svolge da centodieci anni.