L’inviato speciale USA in Medio Oriente Steve Witkoff ha anticipato a Fox News che già domenica prossima riprenderanno a Jeddah i colloqui tra il Segretario di Stato americano Marco Rubio, il consigliere per la Sicurezza nazionale Mike Waltz e la delegazione russa. Ma Waltz riferisce di un prossimo incontro a Riyadh e questo non fa chiarezza sui luoghi e sui tempi: Jeddah e Riyadh distano tra loro 954 km, sarebbero magari utili e rassicuranti notizie ben definite.

Rigorosamente assente al tavolo delle trattative – tuttavia – dovrebbe essere ancora una volta l’Ucraina: Zelensky ha intanto parlato con la Casa Bianca anche per ribadire la chiusura netta ad una ipotesi negoziale che preveda la cessione di territori e intanto il mondo commenta le oltre due ore di telefonata tra Trump e Putin. Sembra che ci sia un accordo per sospendere i bombardamenti e l’invio di droni da parte del Cremlino su infrastrutture energetiche e centrali nucleari. Ma la notte successiva al colloquio tra i due Presidenti sono continuati gli attacchi della Russia che ha preso di mira due ospedali (di cui uno pediatrico) a Sumy, nel nord est dell’Ucraina oltre che la capitale Kyiv (che ha risposto provocando un incendio ad un impianto petrolifero nella regione di Krasnodar).

Fare la pace per telefono non sembra il massimo, la Russia non accetta la tregua di 30 giorni e risulta assai difficile entrare nel merito dei punti da concordare, resta il fatto che un colloquio bilaterale con l’Ucraina assente e neppure convitato di pietra polarizza le trattative e sembra avvalorare l’ipotesi di un negoziato dove prevalgono le logiche spartitorie piuttosto che la disponibilità ad un reciproco convincimento.
D’altra parte – per circoscrivere il discorso all’alleanza atlantica o quel che ne resta – Putin disdegna l’ipotesi di altri partners con cui trattare, l’Europa in primis (Zelensky non è nemmeno preso in considerazione) ma lo stesso Trump sembra privilegiare l’asse con Mosca piuttosto che il consesso di alleati di cui faceva parte.

Il suo impegno per il destino dell’Ucraina è molto distaccato rispetto alla difesa del principio di autodeterminazione di quel popolo o allo stesso riconoscimento di Paese aggredito: l’ultima avvisaglia eloquente – lo scrive il Washington Post – è la rescissione del contratto (su proposta di Elon Musk) per la ricerca guidata dall’Humanitarian Research Lab della Yale University dei bambini ucraini sequestrati e deportati in Russia. Con questa decisione i ricercatori hanno perso l’accesso a una grande quantità di informazioni, tra cui immagini satellitari e dati biometrici che tracciavano le identità e le posizioni di ben 35.000 bambini ucraini oltre che la presunta cancellazione del database del laboratorio di ricerca: un’azione che probabilmente ostacolerà gli sforzi per trovare i bambini scomparsi e assicurare alla giustizia i responsabili del loro rapimento.

Sentire poi la registrazione di una comparsata televisiva del giornalista Vladimir Rudol’fovič Solov’ëv (di cui era stata prevista un’intervista in una trasmissione della TV italiana, poi rimossa dal palinsesto per l’iniziativa dell’eurodeputata Pina Picierno presso la Commissione di vigilanza RAI) in cui il fedelissimo di Putin afferma testualmente per tre volte, rivolto ai cosiddetti nemici della patria, “vi ammazzeremo tutti” non sembra il massimo della rassicurazione emotiva. L’Italia si accredita in Europa come megafono della propaganda filoputiniana, in nome della trasparenza e di una discutibile equidistanza informativa: lo stesso dibattito parlamentare sul progetto Re arm U.E. promosso da Ursula von der Leyen non sembra aver rubricato discorsi di alto profilo patriottico e internazionale, a partire dallo scivolone della premier Meloni sulle critiche al Manifesto di Ventotene del 1941.

Dopo la ‘piazza’ convocata da Michele Serra la politica adotta una linea divisiva che ci immedesima in una sorta di limbo dell’indeterminato, sembra mancare un’avvertita e condivisa consapevolezza dei pericoli incombenti sotto la minaccia russa. In nome del welfare, delle bollette e delle politiche di coesione sociale stiamo perdendo l’aggancio con le decisioni che saranno prese a livello continentale. Il mito americano è il pragmatismo, quello francese la grandeur, quello inglese il political correctness, quello tedesco l’efficienza, quello italiano la retorica.