Nel “Sol dell’avvenire” Nanni Moretti chiede: “Ma chi l’ha detto che la storia non si può scrivere con i ‘se’?”, immaginando il Pci schierato a favore della rivolta di Budapest nel 1956. In uno scritto famoso, il grande storico François Furet non mostrava dubbi: «La storia del nostro secolo, e anche quella dei secoli precedenti, avrebbe potuto essere diversa: basta immaginare nel 1917 una Russia senza Lenin o una Germania di Weimar senza Hitler». Un altro storico, il sovietico Roy Medvedev, negli anni Settanta scrisse un libretto che fece molto discutere, “La rivoluzione d’Ottobre era ineluttabile?” (pensava di no ma non poteva dirlo).

Insomma: la Storia poteva andare diversamente? Da questa domanda, già intrigante, discende poi un’irresistibile tentazione: perché non inserire, noi, a posteriori un granello di sabbia per fare girare la ruota della Storia in modo opposto a quella, almeno a quanto si dice, sia stata davvero? Con il libro di Emmanuel Carrère, grandissimo scrittore che torna in libreria con questo scritto di tanti anni fa, siamo in piena filosofia della Storia o meglio nell’antistoria. Questo Ucronia (Adelphi, traduzione di Federica Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco) è uno scritto del 1986, dunque ben prima dell’imperversare di negazionismi di vario tipo e velleità di riscrivere non solo la Storia ma la scienza, la medicina, l’astrofisica.

Perché “Ucronia” è un libro che affascina? Perché pone in termini filosofici un tema persino psicanalitico su noi e il nostro desiderio di cambiare la realtà di ieri, l’“ucronia” appunto, laddove “utopia” è il desiderio di cambiare la realtà di domani: entrambe le cose con un bel po’ di irragionevolezza. Insomma, l’ucronia «è un gioco mentale» che offre una inedita possibilità di emozionarci ma anche di sognare, seppure guardando indietro. E allora Carrère, con il suo stile sobrio e intimamente da divertissement, quasi da moralista seicentesco, ci guida nei meandri di ciò che poteva essere e non è stato attraverso sconosciuti libroni di secoli fa (ma anche romanzi contemporanei) che trattavano esattamente di questo, della possibilità che non si realizzò.

Fino al punto di considerare che tutto quello che ci è stato raccontato è del tutto falso, per esempio che nella realtà Napoleone a Waterloo prevalse: la prima “Ucronia” pare risalga al 1841 con “Napoleone apocrifo. Storia della conquista del mondo e della monarchia universale. 1812-1832” di Louis-Napoléon Geoffroy-Chateau, giudice del Tribunale civile di Parigi e figlio di un ufficiale dell’esercito napoleonico morto ad Austerlitz, dove si immagina un Napoleone vittorioso nella campagna di Russia e poi conquistatore di tutti i popoli. Oppure che la Seconda guerra mondiale fu vinta dalle potenze dell’Asse che fecero degli Stati Uniti un protettorato del Giappone (è il romanzo di Philip K. Dick, “Svastica sulla Cina“). E se Ponzio Pilato, un fine intellettuale, avesse liberato Gesù il Cristianesimo non ci sarebbe mai stato, con le inimmaginabili conseguenze che ciò avrebbe determinato.

Forse dunque – senza saperlo – viviamo in un mondo che non è quello “vero”, cioè in una assoluta millanteria ordita da oscure potenze non identificabili. Davvero dunque “la vita è sogno” alla Calderón de la Barca e siamo tutti dei piccoli Don Chisciotte immersi in un mondo non reale? Evidentemente Carrère tratta la materia con la giusta distanza che la ragione gli impone, ma il punto realmente sfuggente non è stabilire chi abbia vinto a Waterloo ma perché sentiamo il bisogno di immaginare che poteva essere diversa, la Storia e le storie di tutti noi. E qui Carrère non può che fermarsi.