Riforme
Premierato, il provvedimento arriva in aula ma la strada è in salita. E spunta lo spettro del referendum su Giorgia
Grande riforma o grande bluff? Sul premierato il centrodestra gioca le sue carte. E per ora non benissimo. Il disegno di legge sull’elezione diretta del Primo ministro è, per ora, solo un disegno sbiadito. Un progetto di riassetto istituzionale che non può avere gambe senza una legge elettorale capace di sostenerne il peso. Perché se il premier eletto trascina con sé una sua maggioranza, le leggi di riforma costituzionale dovranno essere due. E per farle, non sembra esserci una maggioranza parlamentare qualificata: si andrebbe dunque alle urne per un referendum sul quale sarebbe molto difficile puntare. Un Meloni sì-Meloni no sul quale si concentrerebbero non solo le opposizioni ma anche i veleni e le vendette interne al centrodestra.
Starne alla larga diventa un imperativo categorico per la premier, che dopo la stagione elettorale delle Europee, dismessa l’armatura, dovrà necessariamente intavolare con le forze di centro un tavolo di trattativa. Intanto i lavori in Aula vanno avanti con il gas al minimo, ed è anche questo – a dispetto dell’annuncite – un segnale da cogliere. Ieri il disegno di legge è sbarcato nell’Aula del Senato dopo l’esame della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama durato circa sei mesi. Il provvedimento, giunto leggermente modificato rispetto al testo originale del Governo, non avrà vita facile.
Il cuore della riforma
Lo attende un comitato di benvenuto composto da oltre tremila emendamenti da parte dell’opposizione, che annuncia battaglia, dentro e fuori dal Parlamento. Cuore della riforma, che va a modificare gli articoli 59, 88, 92 e 94 della Costituzione, è l’elezione del Presidente del Consiglio, votato direttamente dai cittadini, per un mandato di 5 anni. Così il premier non riceverebbe più l’incarico dal Presidente della Repubblica sulla base del risultato elettorale e avrebbe il limite di due mandati. Il Presidente della Repubblica, su proposta del Capo del Governo, potrà nominare o revocare i ministri. Sempre per quel che riguarda i poteri del Capo dello Stato, il testo prevede l’abolizione del semestre bianco.
Il Quirinale potrà quindi sciogliere le Camere anche nei 6 mesi finali del suo mandato. Il Presidente della Repubblica, infine, non potrà più nominare i senatori a vita. Tema scottante, che sarà certamente oggetto di accesi dibattiti in Aula, è il premio di maggioranza per la coalizione vincente nelle urne. Inizialmente previsto al 55%, è stato poi rivisto in commissione. L’ipotesi al momento sul tavolo è quella di un ballottaggio per i due candidati premier che otterranno più voti e che non raggiungerebbero la soglia minima del 42-44%. La questione sarà comunque regolata dalla nuova legge elettorale che, nei progetti della maggioranza, andrebbe discussa e approvata dopo la prima lettura del ddl.
L’opposizione promette battaglia
I disegni di legge di modifica costituzionale necessitano, come è noto, della doppia lettura da parte di entrambe le Camere. Tra la prima e la seconda lettura quindi, la maggioranza punterebbe a trovare lo spazio necessario per la definizione della nuova legge elettorale. La palla passa ora ai senatori. I partiti di opposizione hanno promesso battaglia con la valanga di emendamenti presentati in Aula e proteste di piazza. La segretaria Dem, Elly Schlein, ne ha annunciata una a Roma per il 2 giugno, Festa della Repubblica.
Iniziativa a suo modo clamorosa e per molti aspetti scivolosa. La festa del 2 giugno è una giornata dedicata all’unità nazionale – e alle Forze armate – che ha ripreso linfa con la salita al Colle di Carlo Azeglio Ciampi, quando a Palazzo Chigi c’era Massimo D’Alema prima, Giuliano Amato poi. Organizzare una contromanifestazione non sembra una grande idea. La premier Meloni, ufficialmente, si premura di dire che non teme l’eventualità di dare la parola ai cittadini per un quesito referendario confermativo. Ufficiosamente è un’altra cosa. I referendum istituzionali, Renzi docet, sono sempre medaglie dalla doppia faccia: e anche quando chi governa avesse anche il 50% dei consensi, i dolori arrivano con l’altra metà.
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