Dopo tanto tribolare, anche per la pm Lucia Musti, volto storico di Magistratura democratica, si spalancano le porte della dirigenza giudiziaria. Salvo improbabili ribaltoni dell’ultimo momento, questa mattina il plenum del Csm nominerà la magistrata nuova procuratrice generale di Ancona. La prestigiosa nomina arriva, come detto, dopo anni alquanto complicati sotto il profilo ordinamentale per la pm, attualmente in servizio presso la procura generale di Bologna. A febbraio del 2016, il Csm a gestione Luca Palamara aveva nominato Musti procuratore di Modena, bocciando il collega Paolo Giovagnoli, sulla carta più titolato. Giovagnoli si era allora rivolto al giudice amministrativo che, a gennaio del 2018, gli aveva dato ragione, annullando la nomina di Musti.

Il Csm, dopo aver riesaminato la pratica, nominava però per la seconda volta Musti. Immediato il nuovo ricorso da parte di Giovagnoli al Consiglio di Stato che bocciava la decisione del Csm e ordinava di riesaminare ancora una volta la nomina, dando un termine di venti giorni. A Palazzo dei Marescialli invece, come se nulla fosse, nominavano per la terza volta consecutiva, un record nel suo genere, Musti capo della Procura di Modena. A settembre del 2018 si insediava la nuova consiliatura ed arrivava l’ennesimo ricorso di Giovagnoli al quale il Csm, evidentemente ancora sotto gli ‘influssi’ di Palamara, nelle cui chat compare il nome della magistrata, decideva per la quarta volta di opporsi, dando mandato all’Avvocatura dello Stato. Questo estenuante ping-pong giudiziario terminava a gennaio del 2019 con una durissima bacchettata del Consiglio di Stato il quale dava al Csm l’ultimatum di un mese per ottemperare, stigmatizzando ferocemente la decisione di rinominare Musti, una nomina che “ha in parte aggravato profili di difetto di motivazione e di violazione di legge”.

Il Csm decideva di mollare il colpo e nominava finalmente Giovagnoli procuratore di Modena. Purtroppo, dopo aver sudato la nomina a suon di ricorsi, il magistrato moriva l’anno successivo per un malore e Musti, nel frattempo, decideva di trasferirsi a Bologna. Il nome della magistrata era diventato di dominio pubblico quando aveva ricevuto, per competenza territoriale, gli atti dell’inchiesta Cpl-Concordia relativa alla metanizzazione dell’isola di Ischia e inizialmente aperta a Napoli dal pm Henry John Woodcock. L’allora capitano del Noe dei carabinieri Giampaolo Scafarto e il suo capo, il colonnello Sergio De Caprio, alias capitano Ultimo, coloro che avevano curato le indagini su delega del pm napoletano, si erano recati a Modena per ‘caldeggiare’ il fascicolo che avrebbe potuto coinvolgere l’allora premier Matteo Renzi. Per Musti, sentita nel 2017 al Csm sul punto, i due ufficiali dell’Arma sarebbero stati “spregiudicati e presi da un delirio di onnipotenza”, “le intercettazioni erano fatte con i piedi” e “le informative erano roba da marziani”. Il verbale delle dichiarazioni della magistrata era quindi finito sui giornali e la Procura di Roma aveva aperto un’inchiesta per fuga di notizie, rimasta senza responsabili ma nella quale ci sarebbe stato lo zampino di Palamara, come da egli stesso dichiarato in una recente intervista.