«Condotta irrilevante». Finisce dunque con questa motivazione il procedimento disciplinare iniziato nel febbraio del 2018 a carico di Henry John Woodcock. La Cassazione ha messo ieri un pietra tombale anche sull’ultima accusa al pm napoletano, quella relativa all’intervista al quotidiano La Repubblica nel 2018. A Woodcock, titolare di uno dei filoni dell’inchiesta “Consip”, erano state inizialmente contestate le modalità dell’interrogatorio di Filippo Vannoni, il presidente della municipalizzata fiorentina Publiacqua. Vannoni venne indicato dall’ex ad di Consip, Luigi Marroni, come uno dei soggetti che lo informarono di una indagine in corso a suo carico. Il manager toscano, a sua volta, chiamò in causa l’allora sottosegretario Luca Lotti e i vertici dell’Arma dei carabinieri, i generali Tullio Del Sette ed Emanuele Saltalamacchia. Alla vigilia di Natale del 2016 Woodcock e la collega Celestina Carrano decisero di sentire Vannoni come persona informata dei fatti, cioè come testimone, senza quindi l’assistenza di un difensore.

Secondo la Procura generale della Cassazione che poi esercitò l’azione disciplinare c’erano, però, già allora gli elementi per iscriverlo nel registro degli indagati, cosa che poi fecero i pm romani quando il fascicolo venne trasmesso nella Capitale per competenza territoriale. Averlo sentito come testimone senza il legale di fiducia avrebbe “leso le sue garanzie difensive”. Fu un interrogatorio “molto duro”, disse Vannoni: domande “pressanti” concentrate soprattutto sui «rapporti con Matteo Renzi» e una frase, «vuole fare una vacanza a Poggioreale», che gli sarebbe stata rivolta da Woodcock e di fronte alla quale rimase «colpito e intimidito». A verbalizzare l’interrogatorio fu il maggiore Giampaolo Scafarto, all’epoca capitano del Noe, proseguì Vannoni. Ed era proprio Scafarto l’interlocutore principale, con domande ma anche pressioni: «Risponda, risponda, risponda». E ancora: «Confessi», o «Chi te l’ha detto?». «Feci il nome di Lotti per levarmi dall’impaccio, me ne volevo andare. A un certo punto chiesero di posare lo sguardo verso la porta: c’erano dei fili e dissero che erano delle microspie. Scafarto disse che avevano messo microspie ovunque e che sapevano tutto. Il verbale non l’ho riletto, l’ho firmato e me ne sono andato senza salutare», concluse Vannoni.

Interrogato dai pm romani Vannoni raccontò queste “pressioni” e smentì di aver saputo da Lotti dell’indagine Consip. Tutt’altro scenario, invece, per Scafarto. Secondo l’ufficiale Vannoni «fece i nomi di Matteo Renzi e Luca Lotti spontaneamente». «Vannoni – disse Scafarto – era visibilmente non a suo agio. Era particolarmente nervoso ed iniziò a sudare. Venne invitato a ricordare chi gli avesse detto qualcosa su Consip». «L’esame venne condotto quasi esclusivamente da Woodcock», aggiunse Scafarto, escludendo di aver posto domande al teste.
Scafarto, al riguardo, smentì le accuse di pressioni esercitate da Woodcock su Vannoni, come quella di mostrargli dalla finestra il carcere di Poggioreale e di chiedergli «se vi volesse fare una vacanza» e di fargli vedere dei fili, spacciandoli per microspie. A contattare Vannoni per l’interrogatorio fu lo stesso Scafarto: il 20 dicembre, «andammo in Consip per acquisire atti, poi acquisimmo le dichiarazioni di Marroni. I pm di Napoli ci raggiunsero presso la sede del Noe a Roma, dove fu sentito Ferrara, l’ex presidente di Consip, e di nuovo Marroni. Contattai personalmente Vannoni per chiedergli di raggiungerci per essere sentito, lui non poteva e disse che sarebbe stato meglio il giorno dopo a Napoli e anche i pm convennero».

«Non ricordo – spiegò Scafarto – se ci ponemmo il problema di sentirlo come persona informata sui fatti o come indagato». La sera del 20 dicembre, aggiunse, «Woodcock contattò il dottor Ielo (titolare del fascicolo Consip trasmesso nella Capitale, ndr), non so cosa si siano detti». Il procuratore aggiunto di Roma «ci raggiunse verso le 22, gli furono dati i verbali di Marroni e credo anche quello di Ferrara. Li lesse tutti quanti». Il vice presidente del Csm Giovanni Legnini parlò «testimonianze largamente divergenti» ma poi dispose l’archiviazione. L’altra accusa a carico di Woodcok, quella relativa al colloquio riportato il 13 aprile 2018 dal quotidiano La Repubblica, era stata inizialmente definita con la censura. In dettaglio, con la giornalista Liana Milella il magistrato si sarebbe lasciato andare a giudizi di valore sui colleghi romani. Milella, ascoltata dalla sezione disciplinare, si assunse però la responsabilità dell’accaduto. Woodcook, riferì la giornalista, era “terrorizzato” che lo scambio di opinioni fra i due potesse essere, come poi accaduto, pubblicato.

Sul fronte delle indagini condotte da Woodcock vale la pena a questo punto ricordare il numero incredibile di assoluzioni e proscioglimenti. Fra i casi più eclatanti, il cosiddetto “Vipgate”: un’inchiesta partita nel 2003 che coinvolse a vario titolo 78 persone. Le accuse vennero archiviate dal Tribunale di Roma, a cui l’inchiesta era stata trasferita per competenza. Poi “Iene 2”, “Savoiagate”, “Vallettopoli”, l’inchiesta sulla P4, la massoneria lucana, ecc. ecc.