Nel garbuglio italiano, e in particolare modo in quello giudiziario, tra un caso Palamara a fare da ventilatore e lo scandalo delle correnti a produrre materiale da ventilare, mancava solo il magistrato-candidato. Ma attenzione: non il magistrato che prima ha la toga e poi la dismette per farsi eleggere; ma le due cose insieme. Insomma, il magistrato che vive sincronicamente entrambe le condizioni; che è in servizio, e dunque nel pieno delle sue funzioni di pm antimafia, e che – allo stesso tempo – è pronto, per sua stessa ammissione, ad assumere un ruolo politico e presumibilmente a verificare questa possibilità con una serie di incontri e di contatti. Una evidente stortura, a mio avviso. In proposito, nella dichiarazione con cui Catello Maresca ha annunciato la sua discesa in campo c’è un passaggio, ripreso anche nell’intervista al Mattino, a conferma di quanto sia ritenuto soggettivamente importante, che dovrebbe far riflettere.

È quello in cui, quando il collega Crimaldi gli chiede se diventerà mai l’emblema di un partito, il pm antimafia – proposto come candidato ideale del centrodestra da Mara Carfagna e pubblicamente apprezzato anche dalla Lega – risponde così: “Mai. La mia storia di magistrato antimafia, il mio ruolo istituzionale, il mio percorso di impegno civile e la mia onestà intellettuale lo esigono prima di ogni altra cosa. Non sono disponibile ad accettare in alcun modo strumentalizzazioni sul mio nome”. Il punto cruciale, a mio avviso, non è il riferimento stizzito a Carfagna e alla Lega, del tutto dovuto, ma quello al ruolo istituzionale attualmente ricoperto. Ecco: proprio quel ruolo, quell’indossare la toga, non avrebbe dovuto indurre a un comportamento più consapevole e lineare?

Non mi riferisco all’opportunità, oggi, nel vivo di una crisi di legittimità dell’intero sistema giudiziario, di un passaggio dalla Procura al seggio. Né al tema irrisolto della sovrabbondanza di candidature giudiziarie nel Mezzogiorno, dove, tutti con la sinistra, si sono già candidati Anna Finocchiaro, Caterina Chinnici, Pietro Grasso, Michele Emiliano, Luigi de Magistris, Antonio Ingroia e Franco Roberti. Ma al modo in cui sta avvenendo questo ingresso in politica. La prassi consolidata vuole che un magistrato separi nettamente – o con le dimissioni o con l’aspettativa – l’esercizio del potere giudiziario dall’impegno politico. Così hanno fatto, tra gli ultimi, anche Ingroia che il 19 dicembre del 2012 ottenne l’aspettativa dal Csm e solo dieci giorni dopo annunciò il suo progetto elettorale; e Roberti che ha atteso la pensione per accettare la candidatura del Pd al Parlamento europeo. Nel caso di Maresca, invece, si ha notizia di una sua ormai netta volontà di compiere il fatidico passo, ma nulla su quando scioglierà il nodo che da ieri lo tiene stretto a due ruoli inconciliabili tra loro.

Ma di punti opachi nella scelta di Maresca ce ne sono anche altri. Il magistrato dice che non sarà un candidato di partito, dal che si deduce che adotterà il metodo Ruotolo, cioè si presenterà senza simboli. Ma non dice con chi si candiderà né da chi sia venuto l’invito a farlo. Non fa un solo cenno a personalità o gruppi di riferimento, se non quello autoreferenziale all’associazione “Arti e Mestieri” che ha meritoriamente contribuito a fondare. Dice, ancora, che non ha bisogno di un programma – il che è davvero singolare – perché, spiega, si avvarrà di collaboratori competenti. E a ben vedere non chiarisce neanche a cosa si candiderà: si presume alla Regione, ma giusto perché così lascia intendere il giornalista che lo intervista. Intanto, però, Maresca continuerà a fare il magistrato e il candidato. Tutto chiaro? Per nulla.