Alfonso Sabella è stato un magistrato in prima linea nella lotta alla mafia. Agrigentino, i suoi genitori lo volevano nello studio legale di famiglia, il più avviato di Girgenti. Lui non ne ha voluto sapere, e ha dato inizio a una caccia sfrenata contro Cosa Nostra. Ha fatto arrestare alcuni tra i nomi più noti della storia di sangue siciliana. Sulla sua storia e le sue indagini la Rai ha realizzato una fiction di successo, Il Cacciatore. Ma non ha accettato, racconta al Riformista, di entrare nella consorteria togata di cui oggi si svelano i reticoli.

Chi è oggi Sabella?
Un magistrato di primo grado, sto al Tribunale del Riesame di Napoli. Vivo a Roma, lavoro lì, faccio il pendolare. Sono uno che non ha mai chiesto niente a nessuno, e che nessuno può mettere a tacere.

Bonafede si è salvato in corner. Come lo giudica?
Non giudico il ministro della Giustizia, ma la gestione della giustizia in questo Paese, che non ha mai elaborato una riforma complessiva del sistema giudiziario; per ogni questione qui abbiamo trenta magistrati che se ne occupano, è un lusso che non ci possiamo permettere. C’è un problema di organizzazione generale che va risolto.

E di chi è la responsabilità?
Di chi ha gestito i ministeri in questi anni. Raramente si sono volute valorizzare le professionalità, si è fatto il solito poltronificio.

Al Dap, Basentini lo aveva messo Bonafede.
Mi vuole far dire che ha sbagliato? Le dico che è evidente che i risultati non sono stati eccellenti.

Si è dimesso dopo tante rivolte con dodici vittime. Mai successo prima.
Il Dap è un mondo complesso. Conosco bene, dall’interno, tante carceri. So come si sta dentro e so che molte non sono vivibili. Io per due anni sono stato amministratore delle risorse del Dap. Ho fatto il diavolo a quattro per fare delle strutture migliori di quelle che c’erano.

C’è riuscito?
Sono riuscito a ripristinare 8000 posti detenuti, utilizzando risorse ordinarie, mentre c’era il piano carceri voluto dal governo Berlusconi che ha prodotto solo un mare di consulenze e dunque di esborsi ma neanche un posto detenuto in più. Avevamo carceri modello a Pordenone e a Camerino, dove non servivano, ma a Nola e a Bari non c’erano posti.

E l’attuale Capo del Dap, Bernardo Petralìa?
Dino lo conosco bene, l’ho conosciuto che eravamo piccoli, era giudice a Sciacca. È un magistrato capace, ma deve avere il tempo di conoscere bene. Gli auguro che gli venga la “carcerite”, cioè l’amore, la passione, per le carceri. Senza pensare che ci siano dentro solo quei maledetti mafiosi. Il 41bis deve esserci, ma deve essere applicato strettamente solo dove è necessario e indispensabile.

Emerge il nome di Bernardo Petralia nelle intercettazioni della Procura di Perugia per le indagini sul caso Palamara.
Sul piano personale lo conosco, ma non mi permetto di valutare cose che non so. Non si tratta di intercettazioni rilevanti. Ha fatto il giro delle sette chiese per avere un incarico? Lo ha fatto perché è così che funziona.

Esiste un problema di civiltà giuridica?
Io non vedo contrapposizione tra “giustizialisti”, come li chiamate voi, e “garantisti”. Vedo un enorme problema di organizzazione, di amministrazione delle risorse, di valutazione del merito.

Il poltronificio del Csm.
Io uso termini anche più espliciti, se vuole. È un grande mercato delle vacche. Quando ho sentito Piercamillo Davigo dire che la politica sceglie per criteri di opportunità e la magistratura per merito e competenza, sono trasalito: ha detto una solenne fesseria. In magistratura vieni scelto per logiche di appartenenza e non per merito.

Lei non ha mai aderito a nessuna corrente?
Mai. Mai. Ho fatto una scelta etica ed è una scelta che pago tutti i giorni. Voi non pubblicate le intercettazioni, perché fate questa scelta sul piano etico che io apprezzo moltissimo. Sui giornali leggo dialoghi che mi fanno vergognare di chi veste la mia stessa toga.

Cosa fanno le correnti in Csm, a parte spartirsi i posti?
Se fossero libere correnti di manifestazione del pensiero, scambio di idee e di confronto pluralistico, parliamone. Per interpretare le norme, può essere utile un confronto tra chi ha idealità diverse. Ma non posso accettare che da questi luoghi nasca la spartizione e la lottizzazione partitica fatta da magistrati che in realtà fanno politica. È gravissimo.

Ci vuole separazione delle carriere tra magistrati e politici, insomma.
Il problema non sono i magistrati che hanno fatto politica e tornano a fare i magistrati; sono i magistrati che mentre sono magistrati fanno politica.

Ha mai avuto a che fare con Carlo Maria Capristo, il Procuratore capo di Taranto, arrestato?
Mai lavorato con lui. Mai avuto a che fare. Ma se il Consiglio Superiore della Magistratura gli ha riconosciuto un merito superiore a tanti altri colleghi, altri lo hanno frequentato. Glielo ho detto: le logiche che portano alla scelta di un Procuratore capo sono logiche correntizie e non di merito.

Nelle intercettazioni di Palamara rientrano decine e decine di nomi, anche eccellenti.
Lo so. Cinque posti a me e cinque posti a te. Stiamo parlando di magistrati chiamati a giudicare essere umani, quello che per noi è un minuto, per l’altro è la vita. Non possiamo processare i politici perché fanno lottizzazioni se noi siamo i primi a lottizzare.

Le accuse che riguardano gli scambi di favori tra Procure parlano di traffico di influenze.
Nel traffico di influenze per essere penalmente rilevante ci deve essere vantaggio patrimoniale. Nel caso del Procuratore Capristo, lo stabiliranno. Il problema non è se è penalmente rilevante o meno, è il problema etico e morale. Siamo molto fragili, io per primo che non ho mai avuto remore nell’affrontare la mafia, eppure ho capito che di fronte alla magistratura associata non avevo potere per lottare.

Cosa dovrebbe fare il presidente del Csm, cioè il Capo dello Stato?
Non dico certo a Mattarella cosa deve fare. Ma quando scoppiò lo scandalo Palamara, si era capito che erano coinvolti tanti colleghi. Il fatto che si siano dimessi solo quelli direttamente citati nelle chat è stato riduttivo, autoassolutorio. In quel momento bisognava far dimettere tutto il Csm.

Povero Luca Palamara. Alla fine ha fatto quello che facevano tutti.
A fare certe cose era più bravo di altri. Se quel trojan lo avessero messo nei telefoni di altri, non sarebbero emerse cose diverse da quelle.

C’è stata volontà di colpire Palamara?
Probabilmente è finito in mezzo, è vittima di un sistema che pure ha contribuito ad alimentare. Ma io lo conosco personalmente, è un collega di valore. Era Pm a Roma e io giudice a Roma, ci siamo frequentati, abbiamo anche giocato a calcetto insieme.

Come si riforma il Csm?
Io sono favorevole al sorteggio puro. Si sorteggi chi va al Csm. Chi accetta bene, chi non accetta si va avanti. Se noi magistrati siamo chiamati a gestire la vita e la morte delle persone, perché non siamo in grado di gestire la carriera dei nostri colleghi?

Perché Di Matteo non è stato messo a dirigere il Dap?
Giravano pesanti boatos che Nino Di Matteo era tra i papabili per il Dap, rimasi sorpreso anche io. Ho pensato che si volesse compensare la linea dura di Salvini agli Interni. Si sapeva che avrebbe voluto moltiplicare gli arresti, si temeva un eccesso di infornate nelle carceri. E si decise politicamente per un dirigente meno aggressivo. Ma è sbagliato pensare alle carceri sul 41bis che ha una applicazione rigida e costante. Il capo del Dap governa 60.000 persone, dentro per i reati più vari.

Lei non ha mai corso per quel posto?
No, ma feci domanda per dirigere la DNA. Brusca, Bagarella, via d’Amelio, Capaci, quelli veri: li ho arrestati tutti io… Ma non essendo iscritto alle correnti, la mia domanda non è stata neanche presa in considerazione.

Come andrà in pensione?
Morirò giudice di primo grado ma non me ne frega niente. Rimango un uomo libero.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.