Sugli interventi territoriali in emergenza e sulla necessità di fare programmazione intervistiamo Giovanni Vetritto, Direttore generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e Responsabile del Progetto ITALIAE.

Il progetto ITALIAE vuole rafforzare il governo locale, con delle linee di intervento per affiancare gli enti pubblici locali. Il nemico è la frammentazione amministrativa?
«Ci sono tanti comuni in Italia con meno di 3.000, o anche 5.000 abitanti, con una struttura amministrativa debole. Nel cosiddetto Accordo di Partenariato tra la Commissione europea e i singoli stati membri, dove sono trasferite le risorse della politica di coesione – i fondi strutturali europei – l’Italia si è impegnata ad affrontare il problema della frammentazione municipale. ITALIAE è il progetto che dentro il piano operativo nazionale sulla governance, è specificamente dedicato ad aiutare i sindaci a sviluppare queste logiche associative».

Qual è il modus operandi? La tecnologia giocherà un ruolo fondamentale…
«In un sistema di workflow, i dipendenti dei singoli enti locali possono lavorare con i dipendenti di altri comuni attraverso procedure informatizzate sempre più semplici, quindi la tecnologia ha un ruolo di abilitatore straordinario. Ma la componente umana è altrettanto importante, infatti proponiamo un’azione di capacity building. Vogliamo fornire ai comuni le migliori intelligenze sul piano nazionale: professori di diritto per scrivere atti costitutivi, organizzativisti per accompagnare i sindaci nel processo di change managment, insomma, un’azione di crescita organizzativa e culturale».

Quanti comuni hanno aderito, e qual è l’obiettivo per il futuro?
«Diverse centinaia di comuni e molte decine di luoghi in tutte le regioni italiane, comprese alcune aree in cui non era mai stata istituita un’unione di comuni, come in Basilicata dove è riuscito un primo grande processo associativo. Stiamo lavorando su alcune aree interne in Puglia e abbiamo costituito una rete delle grandi unioni, quelle più solide: anziché immaginare una soluzione astratta da Roma, abbiamo deciso di consultare i diretti interessati per poi trasferire questo know-how ai comuni dove iniziava a manifestarsi una volontà associativa».

È stato firmato un protocollo d’intesa tra il Dipartimento per Affari Regionali e Autonomie e il Dipartimento di Protezione Civile della Presidenza del Consiglio.
«Abbiamo definito nel nostro sito un accurato sistema di open data sulle unioni di comuni, non solo registrando la sottoscrizione dell’unione ma anche verificando se venivano messe in comune delle funzioni e quali, in modo molto analitico. Il quadro che ne emerge è il seguente: chi fa le unioni, la prima cosa che tende a condividere è la Protezione civile. Oggi su 440 unioni, 247 associano la funzione di Protezione civile, totalizzando più di 1.500 comuni».

Rischio calamità: quali sono le aree in Italia attualmente più soggette?
«In Italia c’è un alto rischio sismico in gran parte del paese perché riguarda la Sicilia, la Calabria, la zona tra Lazio e Umbria, l’Appennino, la zona carsica del Friuli… anche perché, per una ragione di inadeguatezza del governo del territorio, negli ultimi anni è cresciuto molto anche il rischio idrogeologico. Se si pensa agli ultimi allagamenti devastanti in Emilia Romagna, quella è un’eventualità che si può fronteggiare con un’adeguata gestione della funzione di prevenzione, con un sistema di Protezione civile intercomunale».

Cosa si è sbagliato, o non considerato con urgenza finora tra le amministrazioni locali?
«L’incapacità di tenere forti vincoli, in fase di progettazione, dell’utilizzo del territorio: si è consentito di costruire in zone soggette a possibili esondazioni di fiumi, per esempio. Lo schiacciamento delle falde tettoniche porterà non solo a terremoti più frequenti, ma più devastanti perché il livello di accelerazione a terra è sempre più alto. Sulla questione idrogeologica devono essere creati canali, aree di scolo, casse di compensazione. In Emilia Romagna le casse di compensazione c’erano e hanno funzionato, ma non sono bastate perché in due giorni è stato registrato un quantitativo di pioggia che normalmente può cadere in un anno».

Marianna De' Micheli

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