Le partite di tutti i campionati sono state rinviate a tempo indeterminato. Accade in Turchia – il paese che con l’Italia organizzerà e ospiterà gli Europei del 2034 – dove lunedì sera un presidente è entrato in campo e ha aggredito un arbitro dopo averlo, pare, minacciato di morte.
L’annuncio del presidente della Tff, la Federcalcio turca, Mehmet Buyukeksi, ha scosso il mondo del pallone a livello globale e le testimonianze di solidarietà a Halil Umut Meler, 37 anni, uno dei migliori direttori di gara turchi, sono arrivate copiose.

L’evento si verificato al novantasettesimo del match di Super Lig tra l’Ankaragucu e il Caykur; al pareggio degli ospiti, Faruk Koca, presidente hooligan, ha colpito il direttore di gara che ha poi ricevuto altri colpi mentre era a terra. Meler, ricoverato in ospedale, ha appreso la clamorosa decisione della Federazione turca.
Nessuna attenuante per gli aggressori, inchiodati dalle riprese televisive. Anche per questo il ministro dell’Interno turco Ali Yerlikaya ha annunciato l’arresto del presidente e di altri due uomini, mentre il presidente turco Erdogan si è espresso duramente sull’accaduto: “Condanno l’attacco all’arbitro Halil Umut Meler. Non permetteremo mai che la violenza interferisca nello sport turco”. Intanto l’Akp, il partito islamista conservatore di Erdogan, ha avviato una procedura di esclusione contro Koca; a darne l’annuncio è stato il canale pubblico turco Trt Haber.

Il presidente dell’Ankaragucu era stato eletto due volte deputato dell’Akp, nel 2002 e nel 2007. Una settimana fa, dall’altra parte del Bosforo, era stata la volta delle giacchette nere elleniche di proclamare sciopero in segno di protesta per le condizioni di lavoro ritenute pericolose; ultimo caso registrato quello di Tasos Papapetrou che avrebbe ricevuto minacce di morte dopo aver arbitrato una partita di Super League. “Negli ultimi anni gli arbitri greci e stranieri sono stati un bersaglio permanente, un sacco da boxe e un capro espiatorio nello spostamento delle responsabilità. Annunci impuniti, bullismo, minacce, attacchi verbali e fisici sono solo alcuni dei problemi che hanno reso il calcio tossico” hanno denunciato gli arbitri greci motivando anche così la loro clamorosa decisione di non scendere in campo nel finesettimana scorso.
“Sono evidentemente fatti di una gravità inaudita, che devono suonare come un campanello dall’allarme non solo per il calcio, ma più in generale per le nostre società. Sono rimasto stupito perché parliamo di un campionato professionistico di alto livello dove la sicurezza dovrebbe essere assoluta. La visione di certe immagini di violenza assolutamente gratuita lascia veramente di stucco”, attacca Carlo Pacifici presidente dell’Aia, l’associazione italiana arbitri.

Presidente, il fatto ha suscitato clamore in tutto il mondo, è qualcosa di inedito oppure l’allarme era già alto?
«Sicuramente si tratta di qualcosa di insolito nel mondo del calcio professionistico europeo. A me dispiace però che non ci sia clamore per tutti quegli episodi di violenza dei quali sono oggetto i nostri ragazzi e le nostre ragazze che operano a livello di settore giovanile dilettantistico. C’è un dato estremamente preoccupante: a novembre i casi di violenza sugli arbitri sono aumentati da 95 dell’anno scorso a 150 di questo. C’è una violenza verbale, morale e fisica soprattutto nei confronti di ragazzi che sono praticamente indifesi, attivi in campi dove a volte non c’è neanche la forza pubblica. E spesso questi episodi di violenza sono messi in atto da tesserati».

Qual è lo scenario italiano?
«C’è stata un’inversione di tendenza: negli anni ’80 e ’90 le aggressioni erano fatte dal pubblico, adesso la stragrande maggioranza di questi episodi viene messa in atto da tesserati. E questo è un dato preoccupante. Di recente è stato previsto un inasprimento delle sanzioni nei confronti di violenti, si tratta però di fenomeno che deve essere arginato anche in maniera attenta e precisa, facendo leva su strumenti culturali e non solo repressivi».

C’è in generale una responsabilità educativa degli adulti nei confronti dei ragazzi, dei figli?
«Direi proprio di sì. Sugli spalti delle partite del calcio giovanile i più esagitati sono i genitori che dovrebbero svolgere un’attività educativa; a volte i figli sono attoniti per i comportamenti dei genitori e questo la dice lunga su quello che è l’aspetto comportamentale che c’è all’interno delle famiglie».

Si dice spesso che l’esempio dato dai calciatori e dai tesserati risulta decisivo. È davvero così?
«Guardi, con i social media e la comunicazione in tempo reale è ancora più vero e penso che i comportamenti e anche le parole diventino un boomerang che possono sicuramente innescare episodi di violenza. Chi ha la responsabilità ad alto livello di rappresentare il gioco del calcio deve fare attenzione a quello che fa e a quello che dice».

Ultimamente abbiamo assistito a contestazioni preventive dei direttori di gara, contestati già al momento della designazione. Qual è il suo pensiero al riguardo?
«Chi crede che possa fare tattica o pretattica sulla pelle degli arbitri è fuori strada e io ho il dovere di proteggere tutti i ragazzi e tutte le ragazze che vanno in campo. Su questo tema non farò neanche un passo indietro, anzi».

Le nuove tecnologie aiutano gli arbitri? Contribuiscono a evitare polemiche?
«Certamente. Pensi che a Roma ancora si parla del famoso gol di Turone di più di quarant’anni fa. Con il Var la questione si sarebbe risolta in un minuto! Se poi vogliamo interpretare tutto allora non finiamo più. Del resto in Italia siamo un popolo di allenatori e di arbitri, dobbiamo sottostare a quelle che sono le logiche italiche».

Qual è la qualità dei nostri varisti?
«Ce ne sono di ottimi, le faccio l’esempio di Aleandro Di Paolo che è stato un buon arbitro, ha svolto la sua attività sul terreno di gioco, si è trasferito dietro i monitor e adesso è uno dei migliori varisti del mondo. Ha fatto il Var nell’ultimo campionato del mondo giovanile che si è giocato in Indonesia. Noi abbiamo investito molto come Aia su questo gruppo dei varisti, che è altamente qualificato».

Per concludere, ci dice come giudica i ragazzi che in mezzo a tutte queste difficoltà decidono di intraprendere questo percorso?
«Sono dei supereroi: fare l’arbitro vuol dire crescere non solo dal punto di vista sportivo, ma come persone. Chi decide di farlo e scende in campo ci mette la faccia, e si assume la propria responsabilità».