Un grave errore fatto dai medici quando era poco più che neonata l’ha condannata a essere “la bambina di legno” e per lei e la sua famiglia di Cava de’ Tirreni non c’è pace e nemmeno giustizia. La piccola Arianna Manzo da 15 anni convive con una gravosa condizione psicofisica, a seguito di un errore medico che l’ha resa tetraplegica, sorda e ipovedente. Ad appena 3 mesi, entrata al Cardarelli con i sintomi di una bronchiolite poi degenerata in polmonite, le venne somministrato prolungatamente un farmaco non adatto ai neonati, arrecandole danni gravissimi e irreversibili.

Da allora la “bambina di legno” sopravvive solo grazie all’amore della famiglia, di papà Eugenio, mamma Matilde e del fratello maggiore Mario. La loro vita è stata stravolta, ma l’indignazione e la rabbia per la tragedia che ha rovinato la vita della loro piccola non ha intaccato la forza e la dignità con cui, da ormai 15 anni, combattono per ottenere giustizia come vittime di malasanità e per ottenere un  risarcimento così da poter continuare a sostenere le cure di Arianna, senza mai farle mancare l’affetto e il sostegno necessari. Al risarcimento di 3 milioni di euro che l’Ospedale Cardarelli è stato condannato a versare con sentenza esecutiva, ha fatto seguito una richiesta di sospensione dei pagamenti e un nuovo rinvio a giudizio in Appello.

“Se e quando arriverà giustizia, per Arianna sarà oramai troppo tardi – scrive si Facebook Mario Manzo, fratello di Arianna –  Perchè Arianna è una ragazza oramai, costretta a vivere una esistenza difficile, affetta da gravi patologie neurologiche e motorie, dopo avere trascorso un periodo di ricovero prima all’ospedale di Cava de’ Tirreni e poi al cardarelli di Napoli, dove fu trasportata d’urgenza quando aveva solo pochi mesi di vita. Proprio in seguito alle cure prestate dai sanitari, Arianna avrebbe subito gravi danni, accertati da una sentenza di primo grado che condannò l’Azienda Cardarelli ad un maxirisarcimento pari a tre milioni di euro”.

Mario racconta la loro drammatica storia che non trova una fine: “Condanna sospesa totalmente dalla Corte di Appello di Salerno, che accolse nello scorso anno la richiesta di sospensiva avanzata dai vertici dell’ospedale napoletano, congiuntamente alla domanda di impugnazione – continua nel post su Facebook –  Ora il nuovo processo si muove con i tempi e le difficoltà proprie di una vicenda processuale complessa e della giustizia italiana. L’istruttoria dibattimentale è stata totalmente riprodotta e il nuovo collegio di periti dovrà stabilire se confermare o smentire (clamorosamente) quanto appurato in primo grado, allorchè fu stabilito che l’uso di un medicinale non adatto sui neonati provocò gravi danni cerebrali. Nel frattempo che la giustizia faccia il suo corso, Arianna vive la condizione di tanti disabili, ai quali lo Stato non riesce a garantire una esistenza libera e dignitosa, che le andrebbe garantita a prescindere da una sentenza”.

Eugenio ha dovuto lasciare il suo lavoro per accudire Arianna. “Ha bisogno di tutto – dicono Eugenio e Matilde – Una casa più adatta a lei con un bagno adeguato, un automobile che ci permetta di trasportarla, farmaci, alcuni dei quali molto costosi visite mediche e terapie. E noi ne sosteniamo i costi. In tutto questo lo Stato non ci dà quasi nulla. Non abbiamo assistenza domiciliare, è tutto sulle nostre spalle”.

In passato la famiglia Manzo è anche andata dal governatore Vincenzo De Luca il quale subito si rese disponibile. “Eravamo sotto le elezioni. Una volta vinte poi è tutto finito, spariti tutti – dice Eugenio con amarezza – Ci promise che avrebbe dato una prima parte dei 3 milioni che ci spettavano, poi però il Cardarelli ha richiesto l’Appello, e tutto si è fermato. Poi ci aveva promesso una casa adeguata per Arianna e un sostegno di 20mila euro finchè la causa non fosse conclusa. Solo promesse”.

Adesso i Manzo dovranno ricominciare tutto d’accapo con perizie su perizie e un nuovo processo che chissà quanti altri anni durerà. “Arianna peggiora, noi chiediamo che sia fatta giustizia prima che sia troppo tardi”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.